I promessi voti

Come previsto dai sondaggi, in Sicilia ha vinto il partito degli impresentabili, condotto dal prode Musumeci. Tanto per non deludere le aspettative dei numerosi elettori, all’indomani delle elezioni Cateno De Luca – già arrestato per tentata concussione e abuso d’ufficio – conquista il record italiano nei cento metri Ars-penitenziario e viene condotto in arresto per evasione fiscale. Successivamente verrà assolto per l’accusa di falso e abuso d’ufficio e godrà della prescrizione (che non equivale a innocenza) per il reato di tentata concussione. Pare che in Tribunale, alla sentenza del Giudice, ci sia stato un boato di gioia; si festeggiava il nuovo prescritto tra i deputati. Son medaglie, nell’ambiente.

Secondo classificato, il re delle preferenze Edy Tamajo, raggiunto da un avviso di garanzia con l’accusa di aver comprato dei voti. 25€ a croce, tanto varrebbe il futuro della sua terra per un siciliano.

Si segnalano video ambigui che mostrano anziani portati a votare di peso nei seggi e l’anomalo dato che a Catania (patria di Musumeci) si siano ritirati ben cento Presidenti di Seggio: qualche sospetto sul regolare corso delle elezioni è decisamente giustificato.

Gli elettori siculi possono dunque ritenersi soddisfatti, hanno votato una coalizione fatta da habitué dei tribunali e comprendente dei leghisti e soldi in tasca gli son rimasti.

D’altra parte, era difficile che in Sicilia si scegliesse altrimenti. Il PD era già bello che spacciato fin dall’inizio – pensate che a Ragusa ha dovuto presentare Nello Di Pasquale, ex democristiano ed esponente di Forza Italia – tant’è che Matteo Renzi ha preferito giocare col trenino piuttosto che fare campagna elettorale sul territorio. Il M5S giocava da solo e, malgrado ciò, ha riportato a casa un risultato straordinario, attestandosi come primo partito assoluto nella Regione. Una vittoria, se così si può chiamare, sottolineata dalla solita sparata infelice di Giggino Di Maio.

Il portaborse di Grillo, infatti, ha ben pensato di lanciare un guanto di sfida a Renzi dal suo account Twitter. L’idea era delle più cretine; non si è mai visto, infatti, il leader (corsivo d’obbligo) di un partito che sfida quello di un partito con meno voti, è l’ABC della politica. Ma Giggino, si sa, con l’abbecedario non doveva essere un portento.

Manco a dirlo Renzi raccoglie la sfida, lasciando decidere all’avversario l’arma (balle o grosse balle), il luogo (il salottino di Floris) e pure l’orario.

Il tempo di premere “invia” sul tweet che Di Maio era già scappato a piangere a casa di Grillo.

Morale della favola? Sfida ritirata con una delle scuse più patetiche mai sentite: “il competitor non è alla mia altezza”. Giggino vorrebbe lasciare intendere che l’esito delle elezioni abbia spodestato Renzi, il che è una colossale stupidata, visto che il PD di Renzi ha ottenuto più o meno gli stessi voti della scorsa tornata elettorale.

Gli unici che hanno abboccato, manco a dirlo, sono i numerosi grillini che spacciano la trovata di Di Maio per una grandissima furbata mediatica, mentre il resto del pianeta lo prende per il deretano per la figura di palta.

Unico dato coerente: per la prima volta i giornali non fanno che parlare di sconfitta totale.

L’astensionismo si riconferma dominante, sancendo il disinteresse della gente per la politica, la sinistra è morta e sconfitta, la pseudo-sinistra incarnata dal PD annaspa, la destra vince di misura con una coalizione troppo larga e disomogenea per esser chiamata tale, il M5S dimostra ancora una volta di non riuscire a far tutto da solo.

Auguri di buon lavoro, Nello Musumeci. Ne hai bisogno.

di Marco Camillieri

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