Il senso diffuso dell’indifferenza e l’avanzare della massomafia

Il procuratore Roberto Scarpinato ha da poco tempo parlato di massomafia. Un termine che contiene in sé la spiegazione senza velato riferimento. Al centro dell’attenzione sono, infatti, i possibili rapporti intercorrenti tra una parte di massoneria deviata e l’associazione mafiosa. Lo sviluppo di questi rapporti, con il posizionamento o lo sfruttamento di posizioni dominanti avrebbe determinato nella nostra società un cambiamento che, in modo lento, ha fatto si che le leve istituzionali di comando siano influenzate da decisioni esterne allo stesso apparato.
Il Procuratore generale è intervenuto all’Insolvenzfest dichiarando: “Gli strumenti giuridici che abbiamo sono stati costruiti per la mafia dei brutti sporchi e cattivi. Ma i mafiosi non sono più così: stanno diventano persone che ci assomigliano sempre di più”.

Questa somiglianza è un nodo centrale, perché determina la non riconoscibilità di chi è nemico dello stato legale, così come originariamente pensato, e di chi pur lavorando per lo stato legale, in realtà, fa gli interessi di una cerchia di persone non più tanto ristretta. Per meglio specificare, la cerchia di chi comanda resta sempre limitata a pochi ma l’ambito di persone che, traendone un personale (anche illecito o illegale) beneficio, accetta, collabora, giustifica, questo modo di intendere la vita collettiva si è notevolmente ampliato.

Eppure il primo a parlare di massomafia non è stato il procuratore generale Roberto Scarpinato. Ne aveva parlato, ben descrivendola, dopo lunghi studi Giuseppe D’Urso, nel 1986, che nel corso della sua analisi aveva notato i legami intercorrenti tra gli organi di potere, verificando l’assenza di volontà di approfondimento proprio sulle collusioni da lui stesso denunciate. I suoi dossier ed esposti furono, infatti, sempre ignorati e nessuno negli anni si è mai preso la briga di andare a fondo con delle obiettive verifiche.
E’ come se si fosse scelto il silenzio assoluto come muro di gomma.
La libertà di parola non è stata limitata ma non si è mai verificata alcuna reazione di rilievo di fronte alle parole di denuncia. E’ come se le parole finissero e finiscono fagocitate da un enorme buco nero d’indifferenza.

La massomafia oggi potrebbe non avere neanche bisogno di minacciare. Il suo stile di vita, il suo modo di occultarsi come fenomeno silenzioso totalmente accettato è tale che risulta difficile pensare che si possa tornare indietro. Con il salto di passaggi di controllo, utilizzando sistemi sbrigativi o economicamente vantaggiosi, si è infatti creata una rete di servizi e utilità alla quale molti accedono, senza nemmeno pensare che potrebbe non mettersi in atto un comportamento virtuoso. E’ un comportamento socialmente accettato e tanto basta a renderlo, agli occhi dei più, legale.

Sicuramente in passato il termine massomafia ha infastidito, forse ancora infastidisce, quella parte di Massoneria che ancora aderisce e obbedisce ai valori fondanti originari e che in questi comportamenti non si ritrova, ma sembra mancare l’unica reazione utile e forte che dovrebbe essere quella di allontanare, isolare, con determinazione, quei componenti che utilizzano il legame, il potere che deriva dall’appartenenza al movimento massonico, per interessi personali in relazione con quei brutti e cattivi del nostro mondo, della nostra piccola Italia. Probabilmente viene anche fatto, ma evidentemente si è creato una sorta di mondo parallelo che sa come ben sfruttare le conoscenze e coperture.

E’ triste dover ammettere di sentirsi sempre più soli a sperare in un cambiamento di rotta, verso legalità e giustizia, non solo di chi può ma anche dell’ultimo, per forza e potere, dei cittadini. La rassegnazione all’immutabilità gattopardesca domina gli animi.

di Patrizia Vindigni

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