Il musulmano errante

Una profonda ricerca storica; una ultra trentennale conoscenza diretta ed esperienza sul campo; una geniale quanto argomentata chiave interpretativa; una rara luminosità letteraria. Queste le principali caratteristiche che fanno del libro Il Musulmano Errante, di Alberto Negri un testo fondamentale per capire la Siria e tutto Medio Oriente oggi. Centoventisei pagine, edito da Rosemberg&Sellier, con una postfazione di Lucio Caracciolo, direttore di Limes, il libro ha come sottotitolo Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente.

Chi sono gli alauiti? Sono quel particolarissimo ceppo etnico e religioso, a cavallo tra islam, cristianesimo, credenze e pratiche esoteriche, che attraversa tutto il Medio Oriente. Ramificato soprattutto in Siria, da strato sociale più umile ed emarginato, sale via via tutti i livelli del potere politico, militare e statale, fino a occuparne il vertice presidenziale, Nel 1971 con Hafez al-Asad, ancora oggi con suo figlio Bashar. Il sincretismo religioso degli alauiti, insieme alla riservatezza assoluta, fino al segreto più inviolabile in cui sugellano la loro dottrina, le tombe dei propri santi, hanno sempre fatto di questo ceppo uno dei più avversati e insieme dei più contesi da parte sia degli Sciiti, sia dei Sunniti, i due rami principali e anche contrapposti dell’Islam. Anche i cristiani, però, soprattutto siriaci e greco-ortodossi, ma anche cattolici romani e perfino anglicani hanno tentato – sebbene in forma minore – di assimilarli. Riottosi, caparbiamente contrari a ogni tipo di assimilazioni, hanno praticato la taqiyya, la dissimulazione, la finzione nella preghiera, per non farsi riconoscere e reprimere dalle fedi maggioritarie. “Noi siamo il corpo – dicono gli alauiti veraci – tutte le altre religioni sono un vestito. Ma qualunque sia la veste che uno porta non ci colpisce più di tanto e chi non dissimula è un folle: nessun essere ragionevole andrebbe nudo al mercato”. È così che loro diventano sunniti tra i sunniti, cristiani tra i cristiani, ebrei tra gli ebrei, scrive l’autore. Per questo sono anche la principale chiave interpretativa non solo della situazione siriana, ma il circostante scenario bellico.

Gli alauiti non hanno moschee, non pregano cinque volte al giorno, non recitano il Corano, non fanno il ramadan, praticando il digiuno solo in occasione della ricorrenza della decapitazione dell’imam Hussein, nipote di Maometto. Quest’ultimo, però, non è al culmine del loro credo. Egli è solo un Profeta, non un dio. Lo è invece Alì Abì Talib, cugino e genero di Maometto, sposo della sua figlia Fatima. Nato a La Mecca nel 599 e scomparso a Kufa nel 661, Alì è per gli alauiti l’unica possibile reincarnazione divina in Terra. Per questo è al centro di una trinità sintetizzata nella formula A.M.S., ossia Alì, Maometto, Salman al Farasi (uni dei seguaci persiani del Profeta).

Albero Negri, attraverso una dettagliata ricerca storica, geografica, religiosa e politica, ricostruisce tutta la vicenda alauita, sintetizzandola in una prosa letteraria limpida, attraversata anche dalla testimonianza della sua presenza e partecipazione diretta nei luoghi e nelle vicende belliche descritte. Inviato del Sole 24 Ore, e oggi de Il Manifesto, Alberto Negri è unanimemente considerato uno dei maggiori e più lucidi analisti di tutto il mondo arabo, islamico, mediorientale. Non solo, però, avendo molto viaggiato anche in Asia e firmato reportage dalle zone di guerra più cruciali. La sua figura e la sua voce sono sempre più presenti in tutti i principali media, dai social, alla televisione, alla radio. Dalla Rai, a La 7, a Radio Vaticana, a Radio Onda Rossa: a chiunque lo interpelli, lui è pronto a offrire il suo punto di vista, sempre molto argomentato e reso con chiarezza, anche quando i nodi sono complessi e maledettamente aggrovigliati.

Personalmente ho conosciuto Alberto Negri in occasione della pubblicazione nel 2009 del suo libro Il turbante e la corona. Iran trent’anni dopo. Presentai questo testo insieme all’allora Direttore Generale del MIBCAT Giuseppe Proietti, il quale per le sue competenze anche archeologiche era stato numerose volte a Teheran e in altre località storiche dell’Iran. Era stato anche Baghdad in momenti molto critici, come subito dopo l’assalto al Museo della città, in occasione della caduta del dittatore iracheno Saddam Hussein. Alberto mi disse che lui aveva proposto all’editore Tropea un libro sulle diverse capitali del mondo da lui visitate e raccontate nei suoi reportage. Proposta subito accettata dall’editore ma poi dall’autore stesso tradita, essendosi alla fine presentato con il malloppo di queste 288 pagine, che costituivano una poderosa quanto originalissima sintesi della sua frequentazione e conoscenza diretta di protagonisti e situazioni dell’Iran, essendovi stato la prima volta nel 1980.

La particolarità etnica e religiosa degli alauiti non è la sola a caratterizzare la scena inquieta del Medio Oriente. Non c’è solo la comunità nota dei Drusi, ma anche quella degli aleviti, cui Alberto Negri dedica alcune pagine preziose. Stanziati oggi in Turchia, ma cancellati brutalmente da ogni statistica ufficiale, sono una minoranza che va dai 12 ai 25 milioni di persone. Non hanno moschee, obbligo di preghiera, di astinenza al vino, le donne si accompagnano agli uomini senza velo, si riuniscono suonando e danzando e fanno della tolleranza tra le fedi un loro valore fondamentale. Alevita è Kemal Kilicdaroglu, il capo del Partito Repubblicano Chp, la maggiore forza di opposizione al governo del presidente Recep Tayyp Erdogan. La specificità storica degli alauiti ha avuto invece un suo primo punto di svolta a partire dal 1920, quando la Francia occupò la Siria. Secondo il noto principio di tutti gli occupanti divideetimpera, anche i francesi fecero leva sulla differenzaalauita, per indebolire il fronte prevalentemente sunnita che la combatteva in nome del panarabismo e dell’indipendenza nazionale. Gli alauiti ne approfittarono soprattutto per uscire dalla loro condizione di inferiorità sociale e culturale, per cominciare a passare dai mestieri umili della terra a quelli dell’amministrazione, della politica dell’esercito, senza mai farsi del tutto occidentalizzare, anche se furono tra i fondatori del partito Baath, nazionalista, laico e socialista. Formazione politica che – come anche in Iraq, con lo stesso nome – fu il cardine della formazione politica del nuovo stato post-coloniale. Non bastò, però, agli alauiti un assetto politico-istituzionale per ascendere al potere. Gli servì anche un riconoscimento religioso, dottrinale. Questo glielo fornì lo sciismo duodecimano, ossia dei dodici imam discendenti in via diretta da Maometto. È lo sciismo al fondamento dell’attuale Repubblica Islamica d’Iran. Nel 1973,  Musa al-Sadr, l’imam sciita di Tripoli in Libano, in uno storico discorso pubblico, riconobbe agli alauiti la piena e legittima appartenenza degli alauiti all’Islam, tentando di estendere il riconoscimento anche agli aleviti turchi. Da quel momento il legame tra alauiti e sciiti, tra Damasco e Teheran non è mai venuto meno. Quando l’Iraq di Saddam Hussein nel 1980 invase l’Iran, dando inizio alla GuerradelGolfo, la Siria fu l’unico stato arabo che immediatamente si schierò e rimase accanto all’Iran.

Gli alauiti siriani sono oggi circa un milione di persone, ossia appena il 12% della popolazione siriana, prevalentemente sunnita. Appoggiato da Iran e Russia, l’attuale presidente alauita Bashar al-Asad resiste asserragliato al potere, mentre intorno la ex Siria è sbriciolata dai bombardamenti, dai cannoneggiamenti, dagli attentati di tutte le diverse forze – locali e internazionali – confliggenti in un micidiale scontro, senza più ormai confini di spazio e ragione.

L’autore conclude la sua ricerca con queste parole del poeta siriano contemporaneo Adonis: “Esisteva un Oriente simile a un bambino che implora, che chiede aiuto e l’Occidente era il suo infallibile signore. Questa mappa è mutata, l’universo è un fuoco, l’Oriente e l’Occidente sono una tomba sola raccolta dalle sue ceneri”. Eppure se una eco profonda fa risuonare in ogni sua riga questo libro, proprio nel racconto delle differenze di minoranza, è che un altro Islam è possibile. Un Islam diverso dalle immagini della protervia e dell’orrore che salgono da quelle regioni in fiamme e fin dentro le nostre città. Insieme a questo Islam anche un altro Occidente sarebbe possibile: solo che esso smettesse di usare, manipolare, piegare con ogni mezzo queste minoranze come strumento della propria volontàdipotenza, per depredare popoli e razziare terre altrui.

di Riccardo Tavani

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