Che senso possiamo ancora dare all’espressione “italiani brava gente”

Trentaquattromilatrecentosessantuno. Sono i numeri ad essere aridi o, piuttosto, lo siamo noi che nascondiamo alla nostra coscienza, celandolo dietro un numero, un essere umano?

Niente di nuovo, per carità, e i fatti della seconda guerra mondiale sono li a dimostrarlo.

La spersonalizzazione inizia con il togliere il nome, e quindi l’identità, sostituendola con un numero. A quel punto possiamo essere capaci di non riconoscere, dietro una cifra, un’esistenza con il suo carico di ricordi, emozioni, speranze.

Per nostra fortuna c’è qualcuno che a quel numero vuole restituire un nome.

34.361, quasi tutti giovani e giovanissimi, sono i figli della parte più povera del nostro mondo, che hanno perso la vita negli ultimi 15 anni per inseguire il sogno di una vita migliore.

34.361 bambini, donne  e uomini di cui, oggi, conosciamo il nome, il paese di provenienza, l’età e la fine.

Purtroppo sono molti di più quelli che sono morti nel tentativo di arrivare in Europa ma di questi 34.361 sappiamo qualcosa di più grazie al lavoro dell’ associazione olandese United for Intercultural Action che ha compilato la lista e ai quotidiani, in Italia il manifesto, che l’hanno pubblicata.

 Marian Shaka aveva 22 anni, veniva dalla Nigeria ed era incinta. E’ affogata, con altre 25 donne, al largo della Libia.

Lawend Shamal, era un bambino iracheno di 3 anni. E’ annegato, con altre 37 persone, quando la barca sulla quale viaggiava è affondata nel Mar Nero.

Fisha aveva 22 anni, veniva dall’Eritrea ed era un “clandestino”. E’ morto, investito sull’A16 nei pressi di Calais, quando per sfuggire alla polizia è saltato dal furgone sul quale viaggiava.

Anche Omar era un “clandestino”. Veniva dal Sudan ed aveva 17 anni quando è stato investito da un auto vicino alla Gare du Nord di Bruxelles. Scappava per raggiungere Calais e da lì la Gran Bretagna.

Basheer aveva 18 anni. Non sappiamo di quale paese fosse originario. Sappiamo che è morto cercando di attraversare il fiume Evros per passare dalla Turchia alla Grecia.

Raheemullah Oryakhel, era un ragazzino di 14. Da solo ha affrontato il viaggio dall’ Afghanistan alla Gran Bretagna ed è stato trovato morto vicino al Porto di Calais.

Farhan al-Hwaish , un ragazzo siriano di 22 anni, è affogato nel fiume Tisza dopo essere stato attaccato dalla polizia ungherese mentre cercava di entrare nel paese magiaro.

Faris Khidr Ali, era un neonato siriano di 4 mesi. E’ morto congelato in Turchia per mancanza di un riparo.

Siamo solo a 8. Ne mancano ancora 34.353.

Bisogna veramente disprezzare queste vite per arrivare a metterle in gioco al fine di raccogliere un facile consenso elettorale.

Ma per quanto riguarda noi, noi cittadini, come siamo arrivati ad accettare, e volere, quello che sta accadendo?  Come ci siamo lasciti convincere che l’impegno volontario delle donne e degli uomini che tentano di ridurre il numero dei morti sia, non meritorio, ma criminale?

Che senso possiamo ancora dare all’espressione “italiani brava gente” quando tutto intorno a noi, e da noi, rigurgita rabbia e rancore verso gli ultimi?

di Enrico Ceci

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