Capitalismo come religione

Walter Benjamin è uno dei massimi filosofi del secolo scorso. Anche se meno conosciuto di altri, la sua opera continua a seminare preziose perle di attualità nel presente. E proprio “pescatore di perle” lo ha definito un’altra grande filosofa sua contemporanea, Hanna Arendt. Nato a Berlino nel 1892, Benjamin è morto nel 1940 a Port Bou, in Catalogna. Morto suicida mentre cercava disperatamente di fuggire alla cattura e all’avvio in un campo di sterminio da parte dei nazisti. Opere come Angelus Novus, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, insieme a Charles Baudelaire. Un poeta nell’età del capitalismo avanzato, continuano a essere oggetto di ricerca, studi e insegnamento. L’editrice Il Melangolo, nella sua collana Nuage, ha ora appena rieditato Capitalismo come religione. Non si tratta neanche di un saggio ma di un frammento, di una serie di sintetici, a tratti criptici appunti, una scaletta di argomenti e riferimenti per il progetto e la stesura di un successivo libro mai scritto.

Gli studiosi dell’opera benjaminiana sono però riusciti a collegare questi appunti sia ad altri scritti dell’autore, sia ai riferimenti a diversi autori cui Benjamin accenna. Né è venuta fuori non solo un’ipotesi di sviluppo del frammento ma anche una sua possibile attualità o riattualizzazione.

Il tema del legame tra capitalismo e religione era già esplicitamente emerso tra il 1904 e il 1905 in due poderosi volumi dal titolo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Autore Max Weber, filosofo e padre della moderna sociologia, per il quale il capitalismo rappresenta una secolarizzazione dell’etica religiosa protestante. Benjamin si oppone drasticamente a questa interpretazione weberiana e afferma: “Il cristianesimo dell’epoca della Riforma non ha favorito il sorgere del capitalismo, ma si è esso stesso trasformato in capitalismo”. Il capitalismo – come tutte le “cosiddette” religioni del passato – cerca di appagare “ansie, pene e inquietudini” dell’essere umano. Esso è però una forma particolare, storicamente ben determinata di religione, non legata a interessi morali o superiori ma immediatamente pratici. In questo il capitalismo rappresenta non una secolarizzazione, ossia una laicizzazione del cristianesimo, ma una sua perversione neo pagana. Non c’è alla sua base una teologia, ma ha i suoi santi. Immagini sacre diventano quelle sulle banconote, e gli ornamenti sono direttamente la voce dello spirito santo capitalistico, la sua serietà sacrale, l’ornamentazione della facciata dell’inferno,

La critica filosofica di Benjamin non è dunque rivolta a una definizione generale di religione (come ad esempio oppio dei popoli), ma a questa sua specifica forma paganeggiante. “Dove ci sono religioni pagane, ci sono concetti di colpa naturale. La vita è, bene o male, sempre colpevole, la sua punizione è la morte. Una forma della colpa è la sessualità, per il godimento e la produzione della vita. Un’altra è quella del denaro, per la mera possibilità di esistere”. Esistere – sans rêve et sans merci, senza sogno e senza pietà.

È proprio il concetto di colpa che determina la relazione con il denaro in una religione pagana. Questa relazione costituisce una demoniaca ambiguità, in quanto la colpa in sé è già sempre debito. Questa relazione era stata però segnalata da Nietzsche nel 1887, in Genealogia della Morale. “Il basilare concetto morale di ‘colpa’ (Schuld, in tedesco) ha preso origine dal concetto molto materiale di ‘debito’ (Schulden, plurale di Schuld). È il rapporto contrattuale creditore/debitore, che è tanto antico quanto l’esistenza di ‘soggetti di diritto’, e rimanda ancora alle forme fondamentali della compera, della vendita, dello scambio, del commercio. L’avvento del Dio cristiano, in quanto massimo dio sia stato fino ad oggi raggiunto, ha portato perciò, sulla terra, anche il maximum del senso di colpa/debito”.

Risalendo ancora più indietro già vent’anni prima di Nietzsche, Karl Marx scrive: “Il debito pubblico imprime il suo marchio all’era capitalistica. Il credito pubblico diventa il credo del capitale. Al peccato contro lo spirito santo subentra il mancar di fede al debito pubblico (Staats-schuld)”.

Molto più che filosofica la sintonia tra il Marx del Capitale, e il Nietzsche della Genealogia sul legame tra colpa, debito, peccato religioso. Eppure Benjamin bolla i due come “gran sacerdoti” del culto capitalista, pur essendo sia Marx, sia Nietzsche due riferimenti costanti in tutto il suo pensiero. A essi accomuna poi anche Freud.

Il socialismo marxiano sarebbe, infatti, soltanto una discendenza diretta dal capitale e il potenziamento della logica capitalista senza più il capitalismo, portando alle estreme conseguenze la logica degli “interessi semplici e composti”, che è poi esattamente la logica della colpa/debito. Ossia, nell’idea di socialismo marxiano, permarrebbe intatta la natura del debito come colpa – individuale e statale – che è alla base della religione pagano-capitalista. Per Freud poi, la colpa sarebbe addirittura Urschuld, ossia originaria dell’intera umanità, per l’uccisione del padre. Scrive il padre della psicanalisi in Totem e tabù: “La società si poggia su una colpa comune, su un crimine di cui tutti siamo stati complici; la religione, sul senso di colpa [Shuld-gefühl] e sul pentimento; la morale, sul bisogno di espiazione generato dal senso di colpa”.

Il capitalismo non è originariamente un assetto economico, ma tale assetto appare perché innanzitutto è una religione pagana moderna fondata sul binomio colpa/debito. Dal capitalismo non si fuoriesce attraverso un maro rivoluzionamento economico-sociale, dato che questo verrebbe a configurarsi addirittura come un suo perfezionamento, potenziamento. Come si fuoriesce allora dalla pervasiva e flessibile struttura religiosa capitalistica? Benjamin accenna cripticamente nel suo frammento a una Umkher, ossia a una svolta, rappresentata da una “vera” politica mondiale, globale, diremmo oggi. Politica intesa come dimensione Altra dal sacro, profanazione, uscita dal tempio (fanum), migrazione, dall’area della sua vigenza, dal suo raggio d’azione onnivoro, capillarmente esteso, come il Dio cristiano, in ogni tempo e in ogni luogo. In altri scritti, Benjamin parla di una rottura messianica, come fosse una sospensione del tempo fuori della cronologia storica, connotata da una violenza pura, che mette fine a ogni successiva violenza. Abbiamo qui un’eco avvertibile della sua radice ebraica, ma non è tanto questo l’elemento caratterizzante l’intrinseco nodo di attualità da sciogliere e sviluppare contenuto in questo frammento benjaminiano. Ossia non è tanto il modo, quanto la necessità della profanazione, della deposizione per via migratoria del Sacro Capital Impero.

Anche perché la multiforme capacità tecno-mimetica del capitalismo è in grado di assumere paludamenti religiosi sempre più vertiginosamente inediti, labirintici, avvolgenti. È il caso della ragnatela digitale, social, dentro cui siamo ormai tutti irretiti. È l’ultima frontiera sacrale-speculativa del capitalismo. Se ne occupa il filosofo coreano berlinese Byung-Chul Han nel suo bel saggio Psicopolitica, Nottetempo Editore. Dopo averci guidato nei vari gironi della dimensione ormai infernale della produzione spinta di profitto a mezzo rapina e sottomissione digitale di tutti i nostri tratti psicologici e caratteriali, Han – come Benjamin nel suo frammento dello scorso secolo – intravede per il futuro una sola possibilità: il totale allontanamento dalla logica che lo domina. La figura di questo profanatoria fuoriuscita assume oggi le sembianze dell’idiot savant, dell’idiota sapiente, dello sciocco studioso. Una figura che nel suo stesso delinearsi è già negazione immanente, intrinseca del dover essere puramente informati e connessi. E questa ci sembra la più proficua attualizzazione del pensiero benjaminiano, perché attinge alle nuove ritualità religiose emergenti del capitale. Dell’essere e rimanere quietamente e abissalmente limpidi è necessario, però, tornare a scriverne in un altro momento e con maggiori petali di luce.

di Riccardo Tavani

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