La Cgil dei lavoratori, con l’odore del lavoro

Ho fatto un sogno, stanotte. Ero su un treno, un vecchio treno con i vagoni separati, che andava verso il sud. Andavo a Bari, al congresso CGIL. Eravamo in tanti, anziani, sul treno.
Tutti pensionati, tutti iscritti da sempre.
Nessuno di noi aveva ricevuto il materiale congressuale.
Nessuno era stato chiamato a discuterlo, ad approvarlo.
Si sa, siamo pensionati, diamo una mano ai servizi.
Già, i servizi, le ultime sedi di sinistra che si aprono ogni settimana.
Quelle che ti aiutano per la pensione, per le tasse, che ti danno le certificazioni Isee, quelle che servono a tante cose, che saranno necessarie per il reddito di cittadinanza.
Avremmo dovuto protestare, per essere stati ignorati.
E invece andavamo al congresso, pieni di speranza, per un futuro che non sarà il nostro, ma che speravamo potesse essere migliore per chi verrà dopo di noi.
Anche se a chi verrà lasceremo (non per colpa nostra) un debito enorme, di. tremilacinquecento miliardi di euro.
Eravamo pieni di speranza, perché avevamo saputo che il congresso si svolgeva con un documento unico, con un candidato unico.
Dopo tanto tempo un segnale di unità nella sinistra italiana.

Mi sono svegliato. Con la sensazione di essere stato anche nel sonno partecipe di idee, di speranze che mi aveva dato il documento congressuale “Il Lavoro è”.
Anzitutto perché il titolo suscitava la stessa impressione dell’articolo uno della nostra Costituzione.
Poi perché ho letto della elezione di Landini a Segretario Generale nel segno dell’unità, con il 92 per cento dei suffragi a voto segreto (ricordavo che Susanna Camusso ebbe il 60 per cento).
Poi perché ho avuto la stessa speranza che mi dette il primo atto del Presidente Mattarella, quando si recò alle Fosse Ardeatine. Perché ho letto che il neo Segretario della Cgil: ha voluto fare due cose subito, chiarissime, per segnare la strada maestra che vorrà percorrere …
È andato ad un’assemblea dell’Anpi a Bari per dire che la resistenza contro il fascismo non è finita e la dobbiamo continuare tutti insieme.
Ed è andato al Cara di Bari-Palese, quelli che il governo vuole chiudere, perché «questa Cgil ha un’altra idea di società, noi vogliamo cambiare il Paese, noi siamo il sindacato del cambiamento, non Salvini, la Lega che ci sta portando indietro».
È una Cgil diversa, che non deve più mercanteggiare e patteggiare in subordine con le controparti qualche miseria di benefici, una istituzione di facciata sempre più lontana dal mondo del lavoro. Ma “un sindacato di strada, che deve andare nei cantieri, nelle campagne e dove ci sono i lavoratori”.
È una Cgil nuova, in cui “fare sindacato vuol dire non lasciare indietro nessuno”.
Sono parole che me ne hanno ricordate altre, quelle dell’odore delle pecore della chiesa di Francesco. Che, in tempi di democrazia diretta, mi auguro servano a migliorare il rapporto, la comunicazione con gli iscritti.
È una Cgil “unita e forte di democrazia e di partecipazione”,che sferra il suo attacco al Governo “che porta indietro l’Italia”, e ai due vicepremier “che parlano di lavoro senza aver mai lavorato”.
È una Cgil che non intende subire un governo che non si confronta con le forze del lavoro e con lo stesso Parlamento e che contrasterà le sue scelte in materia di economia, lavoro, fisco. Che propone il Piano del Lavoro, come fece Di Vittorio nello scorso millennio. approfondito dal Piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile e Laboratorio Sud.

Un’altra indicazione, un altro auspicio c’è stato, nelle parole di Maurizio Landini: quello del lavoro insieme con gli altri sindacati, verso una Confederazione unica …
Sono speranze che mi hanno ricordato la FLM, la Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici degli anni settanta, un momento magico della storia sindacale italiana.
Sono indicazioni che fanno pensare, in tempi di globalizzazione, ad una organizzazione europea del lavoro, per dare voce ai lavoratori nelle riforme che nell’Unione Europea dovranno essere fatte.
Per esserne, come lavoratori, partecipi e protagonisti.
Perché Unione Europea non significhi solo unione della moneta, della finanza, del commercio.
Ma anche, e soprattutto, Unione Europea del Lavoro.

di Carlo Faloci

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