Un viaggio a Locri tra le donne in “Codice Rosso” protette dalla Caritas

Cinquantanove casi di “Codice rosso” in 20 mesi, il 50% provenienti da ambienti di ‘ndrangheta. È il drammatico risultato dell’attività del progetto sulle violenza alle donne e ai minori della Caritas della Diocesi di Locri-Gerace, partito nel novembre 2021 e realizzato in stretta collaborazione con Forze dell’ordine, i servizi sociali dei comuni e alcuni associazioni. La conferma di un fenomeno molto diffuso, e di come la violenza nelle famiglie mafiose lo sia ancora di più. Lo dimostrano i recenti risultati investigativi sulla scomparsa e uccisione di Maria Chindamo, “colpevole” di voler essere una donna libera, perché la ‘ndrangheta è ancor più violenta con le donne.

Spieghiamo a chi non lo sapesse, cosa si intende per “Codice Rosso”.

La legge 19 luglio 2019, n. 69 (nota come “Codice Rosso”) è una legge della

Repubblica Italiana che rafforza la tutela di tutti coloro che subiscono violenze, per atti persecutori e maltrattamenti.

Si tratta dunque di un vero e proprio “codice rosso” investigativo e giudiziario, analogo a quello previsto in ambito ospedaliero, in cui le vittime di violenza domestica o di genere – in gran maggioranza donne e minori – dovranno essere sentite “obbligatoriamente” dai pubblici ministeri, e d’urgenza, entro tre giorni dall’iscrizione dei fatti denunciati nel registro delle notizie di reato (altrimenti l’indagine non potrà essere chiusa).

La prima nota di merito della nuova riforma, consiste quindi nel fatto che, denunciati tali reati, potranno essere applicati con maggiore rapidità alcuni provvedimenti di protezione per le vittime. Certo, in molti, dati i recenti casi di cronaca diranno che questa legge non sembra venga rispettata o che in ogni caso abbia qualche falla almeno nell’applicazione. Come dire, buone intenzioni che spesso rimangono scritte sulla carta. Ma è bene sapere che questa legge esiste.

Tornando al nostro viaggio a Locri, sono inquietanti i dati raccolti dalla Caritas, come ci racconta la direttrice Carmen Bagalà: delle 59 persone accolte in “Codice Rosso”, 35 erano donne e 24 minori, l’80% italiani.

Le donne con un’età compresa tra i 21 e i 79 anni, i minori tra i 9 mesi e i 12 anni. Numeri da capogiro.

La maggior parte di questi casi sono stati segnalati dalle Forze dell’ordine o dagli assistenti sociali, tre dopo un ascolto in Caritas diocesana o parrocchiali. Per molte di loro si sono aperte le porte del dormitorio diocesano “Pandocheion casa che accoglie”.

«Era stato da poco ristrutturato e pensavamo che avremmo ospitato soprattutto immigrati. Invece le ospiti sono state soprattutto le donne con figli – spiega Carmen – è diviso in unità abitative, con cucina, tv, accesso a un cortile, per ricreare un ambiente familiare». A seguire donne e bambini un’equipe multidisciplinare con una psicologa, un educatore e due animatori in sinergia con gli Ats e lo sportello antiviolenza di Ardore. Inoltre in un’altra ala del centro Caritas è stata realizzata una stanza per gli ascolti protetti.

«In supporto all’azione della Polizia perché spesso le donne non vogliono andare in commissariato, per paura o per vergogna». Qui invece si sentono tutelate, inoltre accanto alla stanza ce n’è una per i bambini, piena di giochi, per distrarli mentre le mamme raccontano e, se vogliono, denunciano. Perché molte raccontano, chiedono aiuto ma finora le denunce sono state solo tre. Purtroppo la maggior parte non denuncia, non passa il messaggio che la denuncia tutela, quanto piuttosto quello che ti possono togliere i figli.

Così solo un marito è finito in carcere, altri hanno avuto il decreto col divieto ad avvicinarsi.

Ma cosa accade dopo la “prima accoglienza” della Caritas? Il 50% è stato accolto in una “casa rifugio”, altre con l’aiuto delle Caritas parrocchiali e degli assistenti sociali vanno da parenti, ma ben il 30% rientra a casa, «purtroppo a causa di pressioni familiari».

Che in ambienti ‘ndranghetisti sono particolarmente forti.

Ne è un esempio la storia di una donna sposata ad appena 16 anni, ambiente mafioso, 4 figli, tre dei quali minorenni. «Dopo ripetute violenze è venuta a chiederci aiuto malgrado la famiglia avesse provato a convincerla a non allontanarsi. Anche la figlia maggiore. Invece lei se n’è andata coi tre figli più piccoli. Noi l’abbiamo ospitata per un mese e mezzo. I parenti venivano in continuazione per farla tornare a casa. Ma lei ha tenuto duro, ha denunciato e ora è in una casa rifugio».

Storie drammatiche che potevano arrivare al femminicidio.

«L’ex fidanzato di una giovane donna ha provato ad investirla alla fermata dell’autobus. L’abbiamo aiutata a denunciare e ha ottenuto il decreto di allontanamento dell’uomo». Donne fragili, deboli, doppiamente vittime. A tutte le età.

E ci sono anche casi di doppio “Codice rosso”. Una donna è venuta a denunciare le violenze familiari, prima il marito e poi il cognato. Di nuovo ambiente ‘ndranghetista. «Ma abbiamo capito che anche la figlia, ancora molto piccola, molto probabilmente era stata vittima di abusi e violenza assistita». Storia di violenze e di degrado. Il marito è morto per overdose e la donna, oltre ad abusare di sostanze, manifesta problematiche psichiatriche, tant’è che è stata ricoverata innumerevoli volte. Così si è intervenuti sui due fronti: affidare la madre ad un supporto specializzato e di cura e ricollocare la minore presso una casa famiglia. Mentre è in corso un’inchiesta sulle violenze.

Centri che fanno ciò che possono ma ciò che colpisce maggiormente è quella percentuale di donne che non denunciano, raccontano per essere aiutate ma per nessuna di loro è mai passato il messaggio che la denuncia tutela, quanto piuttosto quello di una ritorsione da parte dei loro aguzzini o il timore che possano togliere loro i figli. E in un ambiente di stampo mafioso, tutto ciò viene amplificato al massimo.

Non c’è solo un nemico da sconfiggere, c’è una cultura da abbattere.

Stefania Lastoria