Stato d’eccezione e debole carica virale

Lo ha capito e detto con chiarezza Pierferdinando Casini nel suo intervento del 27 febbraio mattina al Senato. Da una parte c’è la scienza, dall’altra la politica. “Se no a questo punto – ha voluto scandire bene il senatore – basterebbe mettere l’Istituto Superiore della Sanità al posto del Ministro e avremmo risolto tutti i nostri problemi. No, non funziona così!”. Eppure sta già funzionando proprio così. E per questo Casini ci ha tenuto a marcare il confine – come fanno istintivamente molti animali – anche se le sue parole sono apparse poco più che un rito apotropaico, la recita di una filastrocca scaramantica. A sbracare abissalmente erano stati proprio i suoi colleghi di entrambe le Camere nei giorni precedenti. La retorica politica ha dettato ogni sillaba di quei pletorici vertiginosi avvitamenti oratori di ringraziamento alla scienza, a chi si adopera nel suo campo con abnegazione, senza esposizione mediatica, strutture e risorse  adeguate e spesso anche senza riconoscimento di status economico e sociale. Può allo stesso modo questa comunità silenziosa e in ombra ringraziare quella accecante e assordante della politica? Proprio quella che ha varato negli anni spietati tagli alla sanità pubblica, che ha lasciato i finanziamenti alla nostra ricerca scientifica tra i più bassi in Europa? La classe politica italiana si è messa come un proprio fiore all’occhiello i prestigiosi risultati conseguiti in questa crisi epidemica da ricercatrici e ricercatori italiani, ma potrebbero questi ultimi fare con altrettanta reciprocità nei confronti di chi li ignora, quando non li ostacola, non li avversa direttamente per ignoranza e insipienza? La comunità scientifica dimostra di saper e di potere andare avanti senza la classe politica, mentre quest’ultima – al contrario – niente potrebbe oggi senza l’apporto dell’apparato tecno-scientifico. Ossia: la politica vorrebbe una scienza al suo servizio, mentre non si capisce perché la scienza dovrebbe asservirsi a chi esprime oggi meno competenza, sapienza ed efficienza di essa. E anche di potenza in termini di risultati che sono sempre più di dimensione immediatamente sociale ed economica.

È come se questo virus a bassa intensità virale e a discreta  velocità di contagio avesse improvvisamente gridato al mondo intero: “Il re è nudo!”. Un interro impero contemporaneo – quello cinese – si è ritrovato oscenamente nudo a fronte della sua presunzione di direzione politica egemonica dell’economia mondiale. Un vecchio continente dalle salde e profonde radici politiche – l’Europa – si è scoperto, ossia letteralmente senza più uno straccio di coperta – non solo diviso, ma sparpagliato, quale paglia nella bufera, sbandato, ognuno per le proprie bande, dentro i propri rinserrati confini.

Un prestigioso filosofo italiano vivente, Giorgio Agamben, afferma da anni e riscritto in questi giorni che lo stato d’eccezione, l’emergenza permanente ininterrotta è ormai da tempo il modo più efficace delle élite di governare, imponendo restrizioni delle libertà, dei diritti, dei bisogni che sarebbe impossibile ottenere in condizioni di normalità. Certo, ma qui si è trattato di un virus che ha saputo sintetizzare biologicamente in sé una debole forza virale, che mette a nudo proprio la bio-politica dello stato d’eccezione. Questa, infatti, vuole garantire la vita, il bios, ma solo per controllare i corpi e comandarli, condizionarli, disciplinarli, normarli, sfruttarli meglio. La stessa cosa vale, attraverso la psicopolitica, per la mente, penetrata e condizionata dall’interno tramite l’acquisizione dei big-data, ossia della massa di dati personali che spontaneamente forniamo via web e social. COVID-19 dimostra invece che sono proprio lo stato d’eccezione, la bio-politica, il bio-potere, la psicopolitica, non solo a non essere affatto in grado di garantire i corpi e le menti ma, anzi,  a costituire la minaccia più devastante agli equilibri vitali degli uni e delle altre.

L’intelligenza è connessa e diffusa senza alcun confine dentro la totalità dell’essere. La materia, sia quella solida, consistente come una pietra, sia quella impalpabile come un virus, o come un ombra su un muro, è in quanto tale intelligenza matematica, fisica, chimica, genetica. È cioè anche concetto, pensiero astratto, totalmente intangibile. Non possiamo pensare che solo le bio-strategie di dominio umano sulla materia abbiano un senso superiore alla totalità stessa della continuità organica-inorganica pensante.  Prima ci rendiamo conto di questo, prima riusciremo a stabilire un equilibrio che è innanzitutto giustizia esistenziale. Se invece continuiamo a scatenare guerre e aggressioni con mezzi sempre più potenti e sofisticati, come possiamo pensare che non sorga e risorga continuamente, dal sottosuolo della materia-pensiero, una risposta altrettanto e forse strategicamente anche più raffinata della nostra? A bassa intensità, appunto, ma ad alta efficacia. Proprio questa consapevolezza dovrebbe l’elemento di sconnessione tra la scienza e una politica ormai letale nella sua proterva retorica, per un’inedita alleanza tra la città umana e il pensiero onnivivente.

di Riccardo Tavani

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