Oro, dannazione e salvazione pandemica

Il prezzo dell’oro è schizzato e si mantiene attorno ai 2000 $ l’oncia, ossia circa 54 € il grammo. Un segno critico per l’economia, perché vuol dire che i mercati, gli investitori sono in preda a incertezza e paura. L’effetto terrorizzante della pandemia continua a sospendere l’intero pianeta nella in un senso d’incombente minaccia mortale L’oro rappresenta da millenni ciò che non si corrompe, si mantiene stabile, sia come nobiltà metallurgica, sia come valore economico. Moneta, azioni, obbligazioni, beni mobili e immobili possono repentinamente precipitare e spiaccicarsi sulla dura faccia della realtà finanziaria terrestre. L’oro – simbolo inscalfibile di potere divino, astrale e umano – no. A esso ci si può afferrare con certezza, si mantiene saldo, solido, affidabile. In esso, però, ti puoi unicamente rifugiare, asserragliare, non puoi rilanciare produzione e affari. Quindi sicurezza sì, ma anche staticità, immobilità nei traffici e nei commerci. Puoi vendere sì l’oro e anche bene. In cambio, però, che ricevi? Soldi, azioni, beni e servizi che potrebbero volatilizzarsi da un istante all’altro? L’oro inchioda, salda tutta la tua poca o tanta ricchezza dentro sé stesso. Se proprio si dovesse collassare in una situazione di post catastrofe planetaria, puoi forse sperare di ergerci un primordiale, arcaico sistema di potere neo tribale. Non è scontato, però. Economicamente sterile, forse l’umano nell’oro continua a vedere l’espressione d’una soglia esistenziale tanto sotterranea, quanto inconsciamente percepita, che sta oltre il deperimento, la morte, il nulla di ogni cosa.

L’oro ha un rapporto bizzarro con un altro metallo, assai meno nobile: il rame. Esiste addirittura un indice economico rame-oro, calcolato e ufficializzato internazionalmente dal London Metal Exange. Si divide il valore corrente di una libbra di rame (453,6 gr) per quello di un oncia troy (31,1 gr) d’oro. Più elevato è il risultato di questa divisione, più i grandi investitori stappano bottiglie di champagne. Significa che è alto il valore del rame e basso quell’oro. Al contrario di quest’ultimo, infatti, il rame rappresenta non la fissità, ma la mobilità, la variabilità dinamica dell’economia. Esso è il metallo più usato nelle applicazioni produttive più varie, dai cavi elettrici, agli apparati elettronici, ai rivestimenti di ogni tipo e fabbricazione d’ogni prodotto. Più rame circola in termini di vendite e di acquisti, più la baracca industriale mondiale sta fabbricando merci e macinando profitti. La cosa singolare è che mentre prezzo del rame e dell’oro sono  tradizionalmente divaricati, se cresceva l’uno diminuiva l’altro, ora, invece, salgono insieme.

Il prezzo del rame a Londra, mentre scriviamo, è di 2,147 $ la libbra, ossia 4.700,58 $ la tonnellata. Quello dell’oro esattamente a 1.953,22617 $ l’oncia (53,466 € il gr). Il prezzo discretamente elevato che mantiene il rame è dovuto a diversi fattori, dal calo della sua estrazione a livello mondiale, alle speranze di una ripresa del Dragone cinese.

È come, però, se ci fosse in atto un movimento schizofrenico planetario. Da una parte l’asserragliamento dentro le mura ciclopiche, l’eterna nobiltà dell’oro; dall’altra la frenesia per la contingenza, l’ignobiltà, il divenire, l’hic et nunc, il qui e ora, del rame. E questa scissione non è per niente un fatto meramente economico, ma è la croce esistenziale alla quale, fin dall’origine, sono martoriati nei chiodi il pensiero conscio e inconscio, critico e mistico, la filosofia, l’arte, la politica, la scienza della civiltà occidentale. E forse, più che all’oro e al rame che sono solo una loro apparenza simbolica e  fenomenica, bisognerebbe scendere nel sottosuolo tanto arcaico quanto post-moderno, su cui è piantata la croce della nostra salvazione o dannazione, di fronte allo spettro ancora aggirantesi tra noi della pandemia.

di Riccardo Tavani

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