Pazzagosto capo d’inverno della politica

È in estate che i frutti maturano più prorompenti, e lasciati a sé stessi cadono marci sul suolo indifferente. La crisi di Ferragosto, o di Pazzagosto, ha visto precipitare da un ramo del Parlamento italiano, il Senato, non solo il frutto ma un’intera stagione: quella della Politica. Ferragosto capo d’inverno, recita un antico proverbio marinaro. In realtà, qui è stato un fine estate prematuro solo in ordine alla cronologia dei calendari, perché, anzi, da lungo segnalato nel sottosuolo della Storia. Non solo a livello nazionale ma mondiale. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro dispone l’incendio dell’Amazzonia, il neo premier inglese Boris Johnson la chiusura forzata e prolungata del Parlamento britannico, l’emblema stesso della politica e della democrazia occidentale. Una destra che proclama e agisce brutalmente e cinicamente, fomentando odio e paura, dentro e soprattutto fuori le istituzioni, scavalcandole, irridendole, attraverso il ricorso agli algoritmi manipolatori dei social, cos’è se non già la fine proprio della Politica, quale arte architettonica massima, come la definiva Aristotele. È questo il sottosuolo e insieme l’orizzonte reale – parafrasando L’infinito di Leopardi – della morta stagione e presente.

Da tempo sfatta, marcia, mangiata da vermi e insetti voraci, l’estate della politica è così precipitata sul suolo di un autunno già ubriaco fradicio, ancora prima della vendemmia e della spremitura delle uve. È di tutta evidenza, infatti, che la classe politica che si appresta a variare le tonalità cromatiche del nuovo governo non sappia scorgere né sottosuolo, né orizzonte reale. Beppe Grillo ha lanciato un appello: non mettete le solite facce al governo, ma tanti, tanti tecnici. C’è almeno una percezione della posta in gioco. Una percezione, però, anch’essa di superfice, di mero tenore cromatico. D’altronde lui è partito fin dall’inizio dallo sbandieramento del futuro tecno-scientifico quale superamento del rugginoso ammasso politico novecentesco. Solo che ha poi consentito la nomina di parlamentari e ministri che non avevano la minima cognizione neanche della superficie, figuriamoci del sottosuolo epocale dei problemi.  Ora ci riprova ma, siamo certi, neanche fosse direttamente lui a nominarli questi tecno-ministri andrebbe ancora a sbattere contro la superfice. “Mi schianto contro la superfice”, canta Lady Gaga in Shallow, canzone originale vincitrice dell’Oscare 2019, cantata nel film A star is born.

Dovrebbe, intanto, Grillo avere il coraggio e assumersi la responsabilità civile di guidare pubblicamente lui la delegazione M5S per la formazione del nuovo governo. Indicare quali i compiti, le caratteristiche e l’autonomia politica che dovrebbero avere questi tecno-ministri. Se lascia tale compito nelle mani degli attuali suoi semplici cittadini inviati in Parlamento, per quanto giudiziosamente imbeccati, non possiamo che continuare a schiantarci rovinosamente in the shallow, contro la superficie.

Dall’altra parte, quella del nuovo contractor, dato che non si può più dire alleato di governo, il PD, non difetta certo l’altisonante profondità della retorica politica. Li abbiamo visti e sentiti: pronti all’abisso labiale del nulla. Proprio gli ugulatori, i virtuosi intonatori di questa ormai tanto fantasmagorica quanto dannosa arte proclamatoria andrebbero fatti esibire ormai solo nel vintage. Ogni carica loro conferita, sarebbe in realtà un conferimento in discarica. C’è invece una diffusa quanto colta, preparata rete di tecno-scienziati con alta sensibilità sociale, collettiva, ambientale. Ossia, pronti a usare visione, capacità e sapere per la soluzione dei grandi problemi umani contemporanei. Non in maniera indolore, però. Non c’è campo, infatti, dove l’ultima, postrema ideologia novecentesca, ossia quella del profitto capitalistico, non si ponga come letale ostacolo.

Anche questo è un frutto ormai sfatto, marcio di una lunga stagione destinato a collassare al suolo. Il pericolo sembra avvertirlo ormai il cuore stesso del capitalismo, quello americano.  Duecento imprese multinazionali, riunite attorno The Business Roundtable, hanno redatto il 19 agosto scorso un documento nel quale si sostiene che il profitto, gli azionisti “vanno considerati alla pari dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori e delle comunità in cui si opera. Le aziende devono proteggere l’ambiente e trattare i dipendenti con dignità e rispetto”. Tra le big company che hanno sottoscritto, JP Morgan, Amazon, General Motors, BlackRock. Più che significativa l’assenza di Google e Facebook. Capitalismo senza profitto, naturalmente, neanche si dà: è una pura contraddizione in termini. Questo, però, ci dà il segno di quanto – più dei politici – quei men-profit, almeno, avvertano sensibilmente e si preparino per tempo ad affrontare la fine anche della loro estate.

E potrebbe essere la nuova figura di tecnico sociale, auspicabile futuro ministro e ancora meglio premier, non traguardare questa linea dell’orizzonte e non scrutare tale consolidato sottosuolo? No, perché il fallimento sarebbe già decretato, e odio, paura continuerebbero a ribollire, marcire, contagiare in the shallow, sulle superfici social, sociali ed elettorali.

di Riccardo Tavani

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