Sperando disperando il mondo

Anche questo del 2022 è un Natale drammatico – in tutto il mondo. Un inizio-fine anno ancora di guerra, di crisi economiche, energetiche, migratorie; di popoli oppressi e repressi brutalmente; della pandemia che continua a trascinarsi, trasformarsi, espandersi tra di noi. Per non parlare della crisi ambientale, climatica che tutti ci avvolge dentro la stessa letale sfera d’aria acida e surriscaldata. Una disperazione che sembra aver barrato la parola ‘speranza’, scrivendovi sopra ‘illusione’.

“Solo per chi non ha speranza ci è data la speranza”, scrive nel 1925 Walter Benjamin alla fine del suo saggio sulle Affinità elettive, di Goethe. Ci è data, ossia è donata a noi, una sola autentica forma di speranza: quella verso chi ne è ormai privo del tutto, non gliene resta più neanche un soffio nel cuore di speranza.

Sì, la storia del mondo è una successione di guerre, catastrofi, pandemie, pestilenze, migrazioni bibliche. E la speranza è sempre rinata. Anzi, più profonda la caduta nello strapiombo tragico, più essa risorgeva e si stagliava contro il cielo della disperazione nera. Leggiamo la poesia Veglia, scritta da Giuseppe Ungaretti il 23 dicembre 1915, presso la Cima Quattro.

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita

 

Il finale richiama il Lucean le stelle, la struggente aria pucciniana intonata dal pittore Mario Cavaradossi, mentre sta per essere fucilato a Castel Sant’Angelo nella Tosca: “E muoio disperato! E muoio disperato! E non ho amato mai tanto la vita!… Tanto la via!”.  Come mai questo punto di abissale contatto tra la disperazione finale e la proclamazione più vivida dell’esistenza viene colta proprio dall’arte, quale forma di attingimento della interiorità più nascosta, sotterranea della nostra sensibilità o percezione? Forse perché è qualcosa che si sente, per via puramente sovra razionale, ma non per questo in modo meno incontrovertibile? Non sentiamo, alla stessa stregua, noi tutti qualcosa che balugina laggiù, nel fondo più buio del nostro inconscio, di una luce sì incerta, pulsante, non permanentemente percettibile, anzi! – eppure certamente presente?

La speranza di cui scrive Benjamin, allora, ci è data, per chi gli è stata tolta anche l’ultima goccia, proprio perché solo essi possono attingere quell’interiore sottosuolo luminescente, essendo da esso sensibilmente, fisicamente toccati? Non è forse anche a questo il vero senso di una celebre locuzione usata da San Paolo di Tarso nella sua Lettera ai Romani? “Spes contra spem” – scrive l’Apostolo. L’analisi grammaticale è: la speranza (soggetto, nominativo>spes) contro la speranza (oggetto, accusativo>spem). Qualcosa dentro, connaturato al nostro più intimo essere, contra, in opposizione a qualcosa fuori di noi.

Perché solo la disperazione più pesta ci svelerebbe all’improvviso la luce piena dell’interiore spem? Perché la disperazione discende, è originata, causata dalla follia del potere – d’ogni potere umano – di ridurre al nulla l’essere – ogni essere. Così che al culmine ultimo del compimento di tale annullamento non può che apparire, manifestarsi la sua impossibilità. E si disvela proprio al senza più speranza. Il disperato di oggi, infatti, è avvolto, è parte costituente della stessa follia di potere – in quanto umano. Anche lui, come voluntas, volontà in sé, soggettiva, è sempre contra, in opposizione, a un’altra voluntatem, quale oggetto a lui esterno. La volontà soggettiva si presenta anch’essa nell’aspetto di speranza, ossia desiderio di affermarsi su quelle esterne a essa. Solo l’esito dello scontro tra le voluntates, tra le diverse, plurali volontà determina la messa di una o più di esse in posizione di disperazione, ossia di annullamento di qualsiasi sua altra volontà e – dunque – anche di speranza. Speranza e disperazione sono una polarità inscindibile, come i poli terrestri Nord e Sud. Il collasso della speranza dentro la disperazione non può che trascinarsi dietro quello della volontà di potere, quale illusione, aberrazione ottica, massima follia umana.

Non possiamo più, perciò, neanche parlare di spes contra spem. Sperando disperando il mondo, infatti, altro non è che un’atavica ninna nanna per continuare a cullarci nel sogno, incubo, veglia dell’ondivago alternarsi delle diverse forme – ora vincenti, ora perdenti – di sopruso e iniquità esistenziale. Mentre quella che non cessa, ossia necessariamente si manifesta è la certezza di tale giustizia.

Riccardo Tavani

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