Ogni guerra nasce da quella contro la Terra
Brancoliamo sull’orlo di una nuova guerra mondiale. Precipitarci o meno è ormai solo questione d’oscillanti dinamiche infinitesimali. L’oscillazione è in atto, e da tempo. Essa si configura ormai come una vera e propria struttura della nostra epoca. La sua estensione – oltre o ancora dentro i limiti di rottura – dipende dal poligono risultante delle dinamiche tattiche, strategiche, economiche, militari, diplomatiche simultaneamente in gioco e in rapido mutamento tra loro. La causa dell’oltrepassamento del punto irreversibile di crisi, però, non dipende da tale combinazione d’infinitesimi imperscrutabili, aleatori, ma dalla permanenza strutturale dell’oscillazione stessa. E a essere strutturalmente permanente è la guerra dichiarata dalla nazioni umane di superficie al sottosuolo e all’atmosfera senza frontiere della Terra.
Guerra legata non solo al gas, ma a ogni altro tipo di risorsa energetica. Scrivevamo qualche mese fa: “Componentistica, materie prime, logistica, trasporti, traffici, mercati, snodi commerciali mondiali si stanno bloccando, con uno squilibrio tra domanda e offerta che fa schizzare i prezzi alle stelle”. Mai come in questo frangente è emerso così limpidamente: dalla guerra contro la Terra per lo spossessamento, l’estrazione, l’impossessamento del suo ventre terrestre, idrico e celeste, alla guerra tra la totalità umana che l’espropria, l’estrae, se n’appropria. La violenza contro il pianeta, la sua natura animale, vegetale, minerale, non può che manifestarsi come violenza contro l’essere in sé, di cui l’uomo si considera massima espressione esistente. Auto collocandosi al vertice della piramide vivente l’umano considera tutto il resto mero strumento al suo servizio. E in quanto strumento lo destina d’imperio al logoramento da uso e abuso, alla distruzione, all’eliminazione progressiva accelerata. Sfruttando brutalmente a partite dagli strati più bassi, sotterranei della piramide, e risalendo via via in su, non si può che arrivare a minare le stesse piante del piede umano, ossia la sua stabilità eretta, fisica e mentale. La pandemia lo ha mostrato. Sottraendo spazi vitali alle altre forme di vita naturali e appropriandole, facendole proprie, ossia approssimandosele, l’umano ha cominciato a sperimentare non solo che il trono al vertice della piramide non è affatto suo, ma che la piramide stessa è una velleitaria quanto folle imposizione della sua volontà di dominio.
Il motto latino Si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, è diventato il simbolo stesso della guerra. Quando si vuole aumentare la potenza di un’arma, di una pistola 7.65, ad esempio, si parla di calibro 7.65 Parabellum. Ma che senso avrebbe questa espressioni se volessimo proclamare la pace verso la Terra? Quale bellum dovremmo preparare? Così dopo le truppe ammassate dalla Russia al confine con l’Ucraina, dal lato opposto si ammasseranno ora anche quelle dell’Europa e della Nato. Il tutto per schierare i rispettivi rapporti di forza, al fine di preparare non la, ma una pace. Sappiamo che Putin già da tempo aveva elogiato e indicato Mario Draghi come un credibile, fattivo mediatore. Al di là dell’invio del ministro Di Maio a Mosca, un segno che in maniera felpata, più profonda, Draghi si stia muovendo potrebbe essere proprio il ribadire puntigliosamente l’allineamento del suo governo a tutti i canoni classici dell’Atlantismo, sempre secondo la logica Si vis pacem para bellum. Ma – per continuare a latineggiare – si potrebbe dire che in questo sferragliamento di truppe diplomatiche e cingolate verso la pace può apparire improvviso il casus belli. Improvviso, imponderabile per noi, ma già compiutamente innescato, seppure ben celato, dentro l’aere belli, l’atmosfera di guerra.
Proprio perché è una, e non la pace. Come dice il personaggio del Greco nel libro di Primo Levi La tregua: “Guerra è sempre”. Soprattutto – per attualizzare il nostro grande scrittore – la pace è solo una tregua tra una guerra e l’altra contro la Terra.
di Riccardo Tavani