Bere dal naso

Le fontanelle del popolo, quei cilindri grigio fumo, sparsi sul territorio della città, fanno parte dell’arredo urbano. Non è uno scherzo, a Roma si beve dal naso.

L’acqua è un bene per Roma. La storia, testimonia i tanti acquedotti, che dai tempi della Roma imperiale hanno rifornito le ville e le case di patrizi e dei plebei. Sono tante le fontane molte delle quali impo­nenti sia per l’architettura sia per la maestosità. Le più pic­cole, ma non meno importanti sono le fontanelle, il loro scopo era di pubblica utilità. Non sono lontani i ricordi delle file davanti alla loro cannella, di gente che si riforniva d’acqua, con taniche, bottiglioni e dami­giane.

Nelle borgate cresciute troppo in fretta, dove i ser­vizi tardavano a venire, erano l’unico sistema di avere l’ac­qua potabile. Per questo forse, la gente di Roma, la gente di borgata le apprezza ancora. E allora i nasoni sono diventati arredo urbano, non c’è pia via, angolo di Roma che non abbia il suo nasone. Con l’espansione della città, sono aumentate an­che le fontanelle. Ce ne sono circa duemila, ma sicuramente è un censimento per difetto.

Ma quando sono nati i nasoni? E chi li ha voluti? Era il 1872, pochi anni dopo la breccia di Porta Pia, l’Italia era nata da poco e la “pubblica utilità” era una esigenza per i cittadini. Il sindaco di allora, uno spoletino, il conte Luigi Pinciani, accoglie una iniziativa dell’assessore Rinazzi, cosi vengono istallati i primi nasoni. Il modello di ghisa, dal peso di circa cento chili, di colore grigio scuro è rimasto pressoché uguale per oltre un secolo. Rinazzi fece istallare i primi venti, nelle piazze e nelle vie principali di Roma. Alcuni di questi sono ancora al loro posto. Sembrano tutti uguali ma il corso del tem­po ha portato a delle differenze. Quasi scomparsa, eccetto che per alcune fontanelle, la scritta “Acqua Marcia” (nel nasone in via Duse ancora è visibile sul cilindro di ghisa questa scrit­ta). Nel tempo poi sono state lo sponsor anche del CONI, i nasoni intorno al Foro Italico riportano lo stemma del Comi­tato Olimpico. Nel ventennio riportavano frontalmente lo stemma del fascio littorio. Ma al di la dei fregi e delle scritte, rimane il fatto che sono da sem­pre nel cuore dei romani.

Negli anni passati il comune di Roma per evitare l’eccessiva disper­sione idrica, provò ad introdur­re dei rubinetti al posto delle cannelle. Inutile dire che questa soluzione ebbe vita breve. Il ro­mano è abitudinario, attaccato alle tradizioni e il rubinetto è un sistema poco pratico. Primo, l’acqua era calda, perché non scorreva più a flusso continuo. Secondo, spesso i rubinetti si incrostavano, erano duri e non si aprivano. Terzo, proprio i ru­binetti erano il bersaglio di atti vandalici.

Si passa per le vie di Roma senza neanche farci caso, senza pensare al servizio di pubblica utilità che hanno reso e che rendono ancora. E’ scontato, i nasoni fanno parte della città, il loro fascino e dato dal misto stile barocco e neoclassico. Da anni, sono lì, a guardia di piazze e vie, dis­setando e rinfrescando turisti e romani, immobili con il loro becco ricurvo sporgente dal gri­gio cilindro. Guai a toglierli.

di Tommasina Guadagnuolo

 

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