I Caschi Blu della scuola

Ci vorrebbe una ONU, con tanto di Caschi Blu della scuola. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo, nel pieno marasma, le scuole hanno riaperto, riaprono e anche richiudono. Vero che solo l’iperbolico scompiglio organizzativo-sanitario scaraventato dalla pandemia dentro le aule, i plessi scolastici, le mura domestiche di studenti e insegnanti appare al momento il conflitto più urgente da ricondurre sotto controllo internazionale. Tale urgenza, però, è come se – parossisticamente, paradossalmente – cercasse di approntare un fronte bellico all’avanzata delle macerie. Le macerie sono quelle che affollano la mente di giovani, adolescenti, bambini da quando il lockdown ha chiuso le loro scuole e le ha messi (nel migliore dei casi) di fronte a degli schemi elettronici divisi in quadrati con immagini di docenti che insegnano da casa loro. Queste macerie sono ora scaricate direttamente tra i banchi di scuola – ha poca importanza se nuovi e vecchi – e a esse si farà lezione. La si farà rovesciando loro sopra altre macerie.  Quelle rappresentate da vecchie materie e metodologie d’insegnamento. A esse verranno soltanto applicate mascherine, distanziamenti, quarantene al primo starnuto, colpo di tosse, febbricola, muco nasale. Ogni Stato schiererà la sua accozzaglia di truppe impreparate e i suoi catastro-strateghi per condurli meglio tra le rovine fumanti di una sconfitta bellica già consumata ancora prima di cominciare la guerra. E questo anche se non apparissero del tutto incerte e ancora minacciose – come invece appaiono – le previsioni a breve sull’andamento pandemico.

Per questo ci vorrebbe un organismo sovranazionale e dei reparti neutrali, smilitarizzati, armati solo di autentica e autorevole visione dello stato epocale delle cose. La pandemia ha travolto ogni confine – non solo geografico – ma anche economico, sociale, culturale, di organizzazione amministrativa statale. L’apparato novecentesco nel suo complesso, oltre a essere responsabile della genesi e della diffusione del nuovo virus, si dimostra incapace di porvi rimedio definitivo. Vuole solo rilanciare la sua compulsiva corsa produttiva e riproduttiva. Per la quale la scuola deve continuare a erogare conoscenza finalizzata al suo incessante potenziamento. Ma è proprio quel carburante di sapere a non poter essere più garantito al vecchio turbo-motore produttivo. Perché nella materia grigia dei discenti – consciamente e inconsciamente – non può non affiorare la visione delle macerie grigie causate da quell’apprendimento e dalla sua utilizzazione. E i Caschi Blu della scuola dovrebbero allora interporsi ed elaborare un nuovo progetto d’alleanza mondiale.

Apparato politico, produttivo e didattico si fondano sulla iper-specializzazione, ossia su confini culturali spazzati anch’essi via dal virus. La politica – alla cui base c’è la più classica delle culture – ha dovuto fare ricorso alla scienza, ossia al sapere oggi più all’avanguardia. Abbiamo visto, però, che anche questa si è frammentata e contrapposta al suo interno, proprio sulla scorta delle sue sub-specializzazione: immunologi, virologi, epidemiologi, epigenetici, ecc. Non è più possibile un insegnamento fondato sulla divisione in materie specializzate. Ricondurre il sapere alla sua unitarietà, universalità, come è stato sempre nelle grandi menti della storia umana, è uno dei compiti strategici dell’Onu scolastica. Comprensione esistenziale e scientifica possono e debbono procedere insieme sia nell’insegnamento teorico che nelle applicazioni pratiche. I grandi pensatori erano chiamati Maestri, perché in grado di insegnare tutto ai loro discepoli: filosofia, politica, scienza, arte… E il modello del maestro/maestra elementare che ci ha formato su tutto da bambini deve essere – a livello più avanzato – anche quello dei Prof in missione Onu per la nuova scuola planetaria.

Un’altra letale specializzazione è quella dell’apprendimento al chiuso, tra spesse mura di edifici e aule (di sovente deteriorate) che dividono dal fuori, ossia da quello scambio con la natura e dal sapere diretto, profondo che da esso deriva. Tanto più in questo momento pandemico i Caschi Blu della scuola devono scovare, requisire, adibire aree esterne agli edifici scolastici nei quali è più difficile la trasmissione virale e in cui praticare la conoscenza attraverso nuove forme e contenuti  didattici. Tra le macerie mentali, infatti, la visione di fili d’erba apparirà subito come premessa per arrestare la progressiva la distruzione del pianeta in atto, cui il sapere sempre meno vorrà più assoggettarsi.

L’elettronica, inoltre. Gli algoritmi su cui essa si fonda sono sia alla base di analisi, previsioni e strategie di contenimento epidemiologico, sia della Didattica A Distanza, Dad, sviluppatasi durante il lockdown pandemico, anche se spesso con esisti inadeguati, contraddittori e anche controproducenti. Certamente, però, gli studenti non possono più limitarsi al loro uso pur digitalmente scafato. I cosiddetti nativi digitali, dovranno conoscerla e saperla praticare più nel profondo, tanto nei suoi circuiti hard, quanto nelle sempre rinnovare funzioni soft. Per questo nella scuola avremo presto anche i Caschi Bluetooth.

di Riccardo Tavani

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