Sport, integrazione e politica. Intervista a Mauro Berruto

“Nelle scuole si gioca la madre di tutte le battaglie, una battaglia che riguarda soprattutto la scuola primaria. E forse potremmo allargare fino all’infanzia. È qui il luogo dove intervenire”. Mauro Berruto è sicuro, per cambiare lo sport e la cultura dello sport in Italia, si deve partire da qui, dalla scuola. 52 anni, torinese, storico commissario tecnico della nazionale di pallavolo italiana, con cui ha vinto un bronzo alle Olimpiadi di Londra 2012, una carriera che lo ha portato da Atene e Helsinki passando per Padova e Piacenza. Oggi è sottosegretario con delega allo sport per il Partito Democratico.
Lo abbiamo intervistato al margine del convegno “Raccontare le Olimpiadi di Tokyo 2020: sport e integrazione”, organizzato nell’ambito del Festival Internazionale di Giornalismo “Cristiana Matano” e della rassegna Lampedus’Amore.

Come dovrebbe cambiare la scuola per rinnovare lo sport italiano?
Dal secondo dopoguerra la scuola ha deciso di uscire dall’insegnamento dell’educazione fisica e dall’insegnamento dello sport, perché c’è l’attività corporea ma anche la cultura sportiva, quella che io chiamo la cultura del movimento, che da una parte conduce qualcuno agli ori olimpici, dall’altra è semplicemente la capacità di chiunque di prendersi cura di se attraverso lo sport.
Questa scintilla non può che scoppiare durante la scuola primaria, luogo pensato per far nascere passioni. I nostri bambini non vanno alla scuola primaria per imparare a memoria la data della morte di Napoleone, vanno a scuola per innamorarsi della storia, dell’italiano, della matematica, dell’inglese. Dovrebbe succedere la stessa cosa anche per lo sport.

Però dello sport ci si innamora sempre di meno.
Noi abbiamo risolto il problema attraverso una straordinaria rete associativa, che però va a cercarsi sempre prima i suoi tesserati per motivi di sopravvivenza. Ma una delle cause di abbandono sportivo è l’iperspecializzazione precoce. Quindi non è solo la scuola primaria che deve ridare dignità alla materia ma deve anche farlo in un modo multidisciplinare trasversale, che costruisca abilità fisiche coordinative fondamentali.
Ovviamente a fare questo lavoro ci devono essere persone qualificate, professionisti laureati in scienze motorie. Un lavoro democratico, trasversale, multidisciplinare, di cui poi beneficiano tutti, comprese le associazioni sportive.

Restiamo in ambito politico, guardando alla questione della cittadinanza. Che ruolo può avere lo sport anche in questa battaglia?
Il nuovo segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, è stato chiaro in assoluto sul tema: ius soli. Detto questo, lo sport determinati temi li anticipa sempre. Perché in alcune federazioni, forme di ius soli sportivo esistono già, come nel cricket ad esempio o nell’hockey sul prato. Esperimento limitato però al singolo campionato. Questa è un’altra delle contraddizioni del nostro paese, che spero possa arrivare presto ad una risoluzione. La maggioranza attuale è molto eterogenea e su determinati temi fa difficoltà a trovare un orientamento comune, ma dal punto di vista personale e a livello di Partito non ci sono dubbi su quale sia la nostra volontà.

Dalla politica all’attualità sportiva, due nomi di tecnici. Il primo è Romeo Sacchetti, CT dell’ItalBasket.
Un amico innanzitutto. L’ho tifato da giocatore, quando era a Torino e io ero un ragazzino. Messo nella condizione più strana della sua carriera da allenatore, è riuscito a fare un capolavoro. Perché quando tu riesci a ottenere il più complicato dei risultati immaginabili, senza quelle che sono le superstar della squadra, vuol dire che stai facendo un capolavoro.

Il secondo è la star del momento a Roma: Jose Mourinho.
Per me è un problema in più, visto che sono tifoso del Torino. Mourinho è espressione di un’intelligenza superiore e non mi riferisco all’aspetto calcistico. È un uomo che ha dimostrato di interpretare la professione con la conoscenza e con le capacità tecniche che ha. Qualsiasi contributo di intelligenza che arriva nel nostro campionato fa salire il livello di tutti, quindi sono felicissimi.

Torniamo alla politica. Siamo a Lampedusa, qui parlare di sport e integrazione ha forse un valore particolare.
I porti sono luoghi di contaminazione, nel senso bello del termine. Lo stiamo dicendo indossando due mascherine, quindi parlare di contaminazione adesso è complicato. Ma dobbiamo riappropriarci della bellezza della parola. I porti sono i luoghi dove c’è questa mescolanza di intelligenze, di cultura, di arte e non è un caso se proprio lì nascono due linguaggi universali come lo sport, il calcio, e la musica. E questo aldilà della bellezza del fatto stesso, dovrebbe essere un insegnamento per chi i porti li vuole chiudere. Qualsiasi sistema che chiude gli accessi, muore. Succede in economia, succede in biologia. Qualsiasi sistema chiuso muore, per sopravvivere e prosperare deve essere un sistema aperto. E questo lo sport lo ha capito prima degli altri. Ora dobbiamo esportarlo ovunque.

di Lamberto Rinaldi

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