Chi può entrare in Italia attraverso i corridoi umanitari?

L’hanno denominata “Aquila Omnia”. E’ l’operazione militare con la quale il Ministero della Difesa ha evacuato dall’Afghanistan circa 5000 cittadini afghani che hanno collaborato con l’Italia.  Durante i giorni frenetici della presa di Kabul da parte dei talebani e della contestuale evacuazione militare dei civili, il grido collettivo è stato: “Aprite i corridoi umanitari”. Ad invocarli non solo la società civile, ma anche i politici che però, fino ad ora, sembrano aver ignorato o non implementato, questo sistema di migrazione legale già esistente.

In Italia sono stati introdotti grazie alla spinta di Papa Francesco che nel 2015 aveva invitato ogni struttura religiosa ad accogliere una famiglia rifugiata. Nel dicembre dello stesso anno è stato firmato un Protocollo d’Intesa tra Comunità di Sant’Egidio, Chiesa evangeliche, CEI, Tavola valdese e Governo italiano.

La Caritas Italiana, nel primo rapporto sui corridoi umanitari in Italia denominato “Oltre il mare”, sottolinea come l’iniziativa dei corridoi umanitari si inquadri nel solco delle sponsorizzazioni private e consenta di trasferire in Italia in modo sicuro e legale i richiedenti asilo grazie alla collaborazione dei settori pubblico e privato. La richiesta infatti arriva dalle associazioni proponenti che, attraverso i volontari sul posto, individuano i candidati in relazione a specifiche condizioni di vulnerabilità. A questo seguono i controlli delle autorità consolari, il rilascio del visto per motivi umanitari valido soltanto sul territorio del Paese che li rilascia, la richiesta di asilo e i programmi di accoglienza e integrazione a spese e cura dell’associazione proponente senza ulteriori costi per lo Stato.

Sia per i profughi afghani sia per i corridoi umanitari attivati negli anni scorsi l’elemento comune è la “selezione”, ossia i particolari requisiti in base ai quali si redigono le liste di coloro che verranno trasferiti in Italia attraverso un ponte aereo. Tra l’evacuazione umanitaria a cui abbiamo assistito e il percorso normativo previsto per i corridoi umanitari la differenza è nel fattore tempo. Nella prima infatti non è possibile attendere i tempi dell’istruttoria che invece richiedono i secondi.

Nel caso dell’Afghanistan – i tempi ridotti, le scarse condizioni di sicurezza sul posto e la valutazione rapida delle persone da trasferire – potrebbero rendere più complicati i progetti di integrazione e accoglienza previsti di norma per i corridoi umanitari.  I profughi non avevano probabilmente in mente nessun progetto di futuro in un luogo diverso da quello di provenienza. Avevano un lavoro, una casa e condizioni di vita che sono state brutalmente cancellate.

Potrebbe mancare dunque quello stimolo, quell’investimento sul proprio futuro, che spesso spinge i migranti a lasciare la loro terra. Per questo saranno fondamentali progetti specifici e politiche di supporto.

L’Europa, sempre più interessata a proteggere i propri confini e sempre meno disposta a mettere in atto politiche migratorie in grado di contrastare il traffico di esseri umani e le morti dei migranti in mare, nei lager libici o durante la traversata via terra, è chiamata, ancora una volta, a trovare strategie inclusive. Non soltanto ora, nell’emergenza afghana, ma ogni volta sia necessario proteggere persone in fuga.

di Nicoletta Iommi

 

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