Disuguaglianza: ma quanta esattamente?

Luca De Risi

Per parlare di ‘qualcosa’ bisogna poterlo descrivere, immaginarlo e poterlo dire nel modo più semplice possibile. L’umanità, tutta, sta precipitando in un buco nero: nell’abisso di una smisurata disuguaglianza. Questo è il solo fenomeno e, al contempo, la sola ‘notizia’ di cui varrebbe la pena occuparsi come abitanti del pianeta. Tutto il resto, dal terrorismo al buco nell’Ozono (se c’è), sono sintomi e conseguenze di questa unica evidenza scientifica.

Ed è proprio la ‘scienza’ – nel fornircene dati e quadri interpretativi – che ci impone di ammettere che l’aumento della disuguaglianza e delle povertà non sono fenomeni inevitabili, ma l’effetto di scelte politiche effettuate tenendo in conto l’interesse di pochi e non quello di tutti, a cominciare dai più indifesi.

Joseph Stiglitz – economista dell’Istituto Roosevelt e Premio Nobel per l’economia – scrive che “l’idea che non ci si dovrebbe preoccupare per la disuguaglianza perché tutti trarranno vantaggio dalla discesa a cascata del denaro è stata totalmente screditata. Studi e ricerche mostrano che non è vera: mentre il vertice se la passa benissimo, il resto rimane stagnante.” Una stagnazione che nell’accrescersi smisurato del divario tra i pochissimi ‘che hanno’ e le schiere di persone ‘che non possiedono nulla’ non produce affatto – come si sosteneva un tempo – una costante domanda di ‘beni’. Semplicemente, quando la frattura della diseguaglianza si divarica e si spalanca, cessa la domanda stessa poiché è percezione evidente che ‘desiderare’ qualcosa è diventato del tutto inutile e anacronistico.

Scienza vuol dire ‘dati’ e ‘modelli’. Cominciamo, allora, da uno sguardo molto generale, colto da distanze siderali:  parliamo del Mondo. Bene, nel biennio 2013 e il 2014, le 85 persone più ricche al mondo hanno aumentato la loro ricchezza del 14%, nello stesso periodo il 70% della popolazione mondiale è arretrata a livelli di vita di 30 anni fa. Tre miliardi e mezzo di persone vivono in condizioni di perduranti difficoltà economiche ed 1 miliardo in assoluta povertà.

Avviciniamo, appena, lo sguardo e trasferiamoci in America, patria del ‘mercato’, del liberalismo e del ‘capitalismo’. Negli USA il 25% dei beni è in possesso all’1% della popolazione. Ancora, tutti i guadagni realizzati dopo i 7 anni di crisi economica – tra il 2008 e il 2015 – sono andati all’3% del vertice sociale. Infine, il 90% di chi sta più in basso non ha visto nessuna crescita di reddito a partire dalla presidenza Reagan.

Spostiamoci in Europa. Cosa dicono i dati in nostro possesso? In base alla denuncia dei redditi scopriamo che nei 28 paesi UE ci sono ‘solo’ 342 miliardari (con un patrimonio totale di circa 1.340 miliardi di euro) ma che – di contro – nella civile Europa – 123 milioni di persone, quasi un quarto della popolazione, è a rischio povertà o esclusione sociale. A questi dobbiamo aggiungere altri 50 milioni di persone che vivono già in una condizione di grave deprivazione materiale, “vale a dire senza reddito sufficiente per pagarsi il riscaldamento o far fronte a spese impreviste”.

Attraversiamo il Mediterraneo e sbarchiamo sulle coste del continente Africano. Sfogliando le pagine della rivista finanziaria Ventures  scopriamo l’esistenza  dell’Africa dei miliardari. Sono cinquantacinque gli ‘afropaperoni’ (curioso che gli Stati Africani siano 54) e tutti insieme hanno accumulato fortune per 143.880 miliardi. Si tratta di un mercato e di un’economia di ‘saccheggio’ di beni e risorse, di accentramento di poteri – controllato spesso da dittature e regimi – che si svolge nell’indifferenza complice dell’Occidente. Secondo la Banca mondiale il numero di chi vive in estrema povertà in Africa è di 414 milioni di persone.

Per il continente asiatico valga l’esempio della Cina. Recenti studi introducono elementi di forte criticità del suo – pur invidiato – modello di sviluppo. Secondo il rapporto Hurun “a fronte del costante aumento della ricchezza prodotta in Cina dall’introduzione delle prime riforme economiche nel 1978, le disuguaglianze di reddito hanno continuato ad aumentare a un ritmo ancora più alto, interessando in misura molto diversa fasce e categorie di censo”. In particolare le zone rurali dove vive il 50% della popolazione presentano fortissime disuguaglianze. Ancora, il numero di miliardari in dollari statunitensi in Cina è aumentato da 130 del 2009 ai 251 del 2012, conferendo alla Cina il secondo numero più alto al mondo di miliardari, ma negli stessi anni è anche raddoppiata la disuguaglianza economica degli 800 milioni di contadini cinesi, che da soli rappresentano il 40% di tutti i contadini del pianeta. Nella nazione dall’economia più ‘spinta’ del mondo, 82 milioni di persone vivono con 1 dollaro al giorno.

Dopo questa lunga ricognizione, atterriamo in Italia. Lo scenario non cambia. Nel nostro paese il 20% degli italiani più ricchi detiene il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% degli italiani più poveri ne detiene appena lo 0,4%. In Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è aumentata di 5 punti (dal 6,4% all’11,5%). Sono quasi 7 milioni di persone che nel nostro paese vivono sotto la soglia di povertà e tra di loro ad essere più colpiti sono i bambini e i ragazzi sotto i diciotto anni.

Parlare di disuguaglianza non può – mai più – ridursi ad una sterile disputa ideologica o ad una evasione fantastica. Scienza e Filosofia ci impongono di trattare principi e valori come dati del ‘reale’. Le dimensioni della disuguaglianza dipendono dalle scelte e dai modelli con cui diamo corso concreto alle nostre esistenze. Immaginare di poter continuare su questa china, significa illudersi e aggravare le dimensioni di un fenomeno – l’impoverimento del Pianeta – che ha già cominciato a presentarci un conto salatissimo. Cosa aspettiamo ad introdurre una tassa globale sulla ricchezza? Non è solo una questione morale, è diventata una ragione vitale.

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