Lettera aperta a Lucia Ottobrini

“Via, scappa via, e riportami il mondo!”Emily Bronte

Charlotte Bronte a Ellen Nussey – 23 dicembre 1848 – “Mia cara Ellen, Emily non soffre più d’alcun dolore o debolezza, ora. Non soffrirà mai più su questa terra. Se n’è andata dopo la sua lotta breve e dura. E’ spirata martedì, proprio il giorno in cui ti ho scritto. Pensavo fosse possibile averla con noi ancora per settimane e, poche ore dopo, aveva raggiunto l’eternità. Sì, non c’è più Emily in questo tempo, né in questo mondo.(…) Sentiamo che lei è in pace. Non c’è bisogno, ora, di tremare per il gelo o il vento tagliente. Emily non li sentirà. –

Cara Lucia, un anno fa scrissi un ricordo di te su queste pagine, cercando di essere il meno possibile agiografico e tantomeno irriverente rispetto alla tua figura di eroina partigiana che, all’atto della tua dipartita, giornali, persino stranieri, ed istituzioni avevano messo in risalto con la dovuta profusione. Ad un anno dalla tua scomparsa voglio soltanto ricordare i pochi attimi nei quali ebbi ad interloquire con te, inesperto estensore di biografie, nella tua casa, seduta sulla tua poltrona, o a stento aggirandoti nelle stanze che ti furono ultimo rifugio dopo le tante traversie che hanno attraversato la tua lunga vita, fin dai primi momenti in cui ti trovasti a dover decidere se aderire
alla lotta, ancora giovinetta, che ti avrebbe portato a conoscere il tuo compagno di sempre, i tuoi futuri compagni di cospirazione, i tuoi amici scomparsi.Io non ti ho mai accompagnato, come faccio sempre più spesso con tuo marito, cercando di sorreggerlo, ma più che altro cercando di arginare, e talvolta contrastare, il profluvio di parole, progetti, asserzioni e dinieghi che lo caratterizzano, credo, da sempre. Lui c’e, ed ancora ti guarda, con gli occhi un po’ offuscati e stanchi, ma ancora vigili, attraverso le foto che io gli mostro cercando sul web. Un lieve moto di pianto gli soffoca la voce, vorrei fossi io ad avere quella stessa commozione, ma poi la attribuisco ad altre perdite mie e taccio. Preferisco che lui si renda partecipe di quella perdita e continui a vederti come una presenza inestinguibile nella sua vita. Ho fra le mani un libro, proveniente certo da uno scaffale della libreria nel quale ancora vengono custoditi quelli che furono parte della tua formazione culturale, da giovinetta fino all’età matura, libri della grande tradizione letteraria francese, che tu tanto hai amato, assieme ad altri, numerosi, attinenti alla tua formazione spirituale, da quelli di sapienza orientale, buddhismo, taoismo, ad altri di matrice esoterica. Ma questo in particolare mi ha colpito e l’ho preso in prestito, non avendone mai posseduto e letto una traduzione, pur essendo un libro che si inserisce nella tradizione della narrativa gotica e tenebrosa che a mia volta prediligo. Si tratta di “Cime tempestose”, di Emily Bronte. Mi immagino che tu l’abbia letto ed amato, come tante giovani donne hanno fatto negli anni, quando eri una giovane sposa e il tuo lavoro d’impiegata ed il tuo impegno casalingo (che è sempre stato un tuo principio ordinatore, più che un dovere) ti lasciavano poco tempo per le letture. La tragica fine di Catherine e la figura altrettanto tragica del suo amante Heathcliff avranno certamente scosso i pensieri e i sentimenti di migliaia di lettori e lettrici, come scossero certamente i tuoi, ed ora i miei, nel leggerne la loro storia funesta. Noto che, a margine dei quinterni che sarebbero poi stati assemblati e rilegati, per questa edizione del 1956, da uno sconosciuto editore di Milano, compare il titolo, che poi non sarà usato nell’edizione definitiva, di “La voce nella tempesta”, che è lo stesso titolo usato nell’edizione italiana della prima e famosa versione cinematografica del romanzo, risalente al 1939, di William Wyler, con due indimenticabili interpreti: Merle Oberon e Laurence Olivier, e mi è sovvenuta una serie di considerazioni sul tuo passato di eroina partigiana. “La voce nella tempesta”: negli anni dal 1940 al 1945, per l’Italia, più che diuna tempesta si trattò di un naufragio, come sottolinea il titolo “Spettatori di un naufragio” del libro di Raffaele Liucci, edito da Einaudi, che analizza, con grande sensibilità, ciò che accadde, negli anni immediatamente successivi all’entrata in guerra, a scrittori ed intellettuali avversi al o contigui con il fascismo. Un naufragio che molti antifascisti arginarono e superarono con le loro proprie forze. “Nous sommes dans un cul de lampe”, come venne in mente di dire al tuo compagno, che ti teneva stretta la mano in Via Zucchelli a Roma il 10 settembre del 1943, assistendo all’arrivo dei primi carri armati tedeschi. Anziché “cul de sac”, come abitualmente si dice in francese per sottolineare un imbuto in cui ci si andati a cacciare senza via di scampo, invece “cul de lampe” (termine usato nel linguaggio tipografico per definire il segno grafico che si pone al termine di un capitolo o dell’intero libro) sottolineava, nelle intenzioni di Mario Fiorentini, la fine di un’epoca e l’inizio di un nuovo avvenire. Un’ultima considerazione, che mi permetto di esprimere avendo appreso alcuni particolari della tua vita dai tuoi parenti. Tu sei stata la seconda delle tre figlie femmine messe al mondo dai tuoi genitori, assieme a numerosi figli maschi. Ebbene, anche Emily Bronte era la seconda di tre sorelle, di cui Charlotte ed Anne erano rispettivamente la prima e la terzogenita, assieme ad altri figli e figlie dati al mondo dai suoi genitori e scomparsi tutti prematuramente. Questo mi ha fatto sovvenire che è un destino che tutte le famiglie, del passato o presenti, abbiano subito perdite irreparabili di figli, fratelli, sorelle. Perciò, più che parlare dei tuoi trascorsi di eroina partigiana, dei quali innumerevoli articoli si sono occupati, volevo ricordarti come attenta e commossa lettrice di storie romantiche, e di accostare per umomento la tua vita vissuta a quelle delle tre sorelle Bronte, Charlotte, Emily ed Anne, di cui sopra riproduco il ritratto, non avendo il coraggio e il pudore di riprodurre quel giovanile ritratto fotografico di te con le tue due sorelle, Anita e Delia, come te scomparse, e a cui va il mio pensiero affettuoso, assieme al ricordo di te, che serberò sempre nel cuore.

di Maurizio Chiararia

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