Emanuele Morganti, ucciso dal branco nella notte, picchiato fino all’ultimo respiro

È venerdì notte quando ad Alatri, in provincia di Frosinone, Emanuele Morganti e la sua fidanzata Ketty Lisi sono seduti al bancone di un locale. Un’uscita tranquilla, insieme a loro, ma un po’ distante, c’è qualche amico.
Qualcosa inizia però a rovinare la serata. A turno, altri due ragazzi, un italiano e un albanese, iniziano a prendere in giro la coppia, a fare battute sulla ragazza. Sono ubriachi, ciondolano per il locale. Cercano la rissa con chiunque li tocchi. Emanuele, vent’anni, inizia ad infastidirsi. I due cominciano a spintonarlo, vola qualche parola grossa. “A un certo punto è sbottato – racconta la ragazza – è iniziata la discussione, l’hanno portato fuori dal locale”.
Qui ad attenderlo non ci sono solo i due attacca brighe. Ci sono anche i loro amici e addirittura i buttafuori del locale, che prendono di mira Emanuele difendendo il ragazzo ubriaco. Forse sono amici, forse già lo conoscevano. Sono le 4 di notte, lo scaraventano a terra e lo riempiono di calci e pugni. Poi dal locale qualcuno porta una chiave inglese o una spranga. È il colpo finale infranto alla testa.
Il branco si diverte, trascina il corpo per l’asfalto sotto gli occhi della fidanzata. Fuori dal locale, sono in molti a girarsi dall’altra parte.
Emanuele viene trasportato d’urgenza al Policlinico Umberto I di Roma con fratture multiple al cranio e alla cervicale. Per 48 ore la sua vita è stata appesa un filo, nel reparto di terapia intensiva. Poi la triste notizia. Emanuele è morto. Troppo violenti i colpi che avevano reso il volto irriconoscibile, tanto che un amico del ragazzo pensava fosse stato investito da un auto.
Per adesso sono due le persone fermate dai carabinieri ma gli indagati sono nove. L’accusa è concorso in omicidio volontario. Una vicenda che ha sconvolto tutti, ma che ancora non si è chiusa. Così anche il sindaco di Alatri, Morini, spinge la comunità a collaborare con le indagini: “Chi sa parli: Alatri non deve essere omertosa. Fuori da quel locale c’erano tante persone, ma nessuno ha fermato gli aggressori. Quanto accaduto è una barbarie, la nostra comunità è impietrita. Ci stringiamo intorno ai familiari di Emanuele, un ragazzo normalissimo che quella sera voleva passare solo qualche ora con la sua fidanzata”.
La notizia intanto è diventata virale sui social networks. E come tutte le storie popolari si trasforma, cambia faccia, ad uso e consumo di chi la diffonde. Il gruppo di assassini diventa “branco di albanesi”, e la vicenda di Emanuele finisce sotto l’etichetta de “l’ennesima mattanza ad opera di immigrati”, tanto che il leader della Lega, Salvini, la posta sul suo profilo facebook.
Le solite fake news, plasmate e condivise ad hoc. Di vero, intanto, c’è il dolore della famiglia e la violenza del branco, di qualsiasi nazionalità esso sia.

di Lamberto Rinaldi

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