Un triangolo rosa e un triangolo nero

Un pezzo di stoffa rosa, cucito sul petto di casacche consunte degli internati per diversità. Già, i nazisti non internavano nei campi di concentramento solo gli ebrei ma anche i diversi, di ogni genere. Dai gay alle lesbiche, dai disabili ai Rom. La diversità era impurezza e l’impurezza mal conciliava con la cultura della razza ariana che il regime nazista profondeva al popolo germanico.

Il triangolo rosa, non era un semplice pezzo di stoffa, era un simbolo, il simbolo con cui i nazisti registravano per omosessualità maschile gli internati nei campi di concentramento. “Winkel” in tedesco, angolo rosa, quel pezzo di stoffa a forma di triangolo con il vertice verso il basso e di colore rosa era un simbolo spregiativo. Alcuni gerarchi nazisti erano anche uomini dediti all’esoterismo, uomini freddi, cinici e misteriosi e forse la posizione verso il basso del vertice del triangolo è stata presa da tradizioni orientali che davano il triangolo con il vertice verso il basso sinonimo di simbolo femminile. Il colore rosa dava ancora più spregio essendo il rosa un colore che nella popolarità è assegnato al sesso femminile.

Le lesbiche invece avevano il triangolo di stoffa sulla casacca di colore nero, con il vertice verso l’alto che nelle tradizioni orientali simboleggia il sesso maschile. Nero, invece di azzurro come avrebbe dovuto essere in opposizione a quello rosa. Perché nero? Il nero porta con la mente alle tenebre, al buio. Però nella tradizione simbolica l’idea delle tenebre non ha ancora significato negativo, perché corrisponde al caos primigenio dal quale può nascere ogni cosa, esso è infatti associato all’invisibile e all’inconoscibile, quindi anche alla divinità creatrice originale. La donna è generatrice di vita ancorché confusa nella sessualità.

Gay triangolo rosa e vertice in basso, lesbiche triangolo nero e vertice in alto. Diversi, e rinchiusi nei campi di concentramento con la sola colpa di avere una sessualità non conforme allo stereotipo della razza ariana. Una legge li puniva.

Il Paragrafo 175 (noto formalmente come §175 StGB) era un articolo del codice penale tedesco in vigore dal 15 maggio 1871 al 10 marzo 1994. Esso considerava un crimine i rapporti sessuali di tipo omosessuale tra uomini, e nelle prime versioni criminalizzava anche la bestialità. La norma venne emendata diverse volte. I nazisti ampliarono la legge nel 1935 e aumentarono notevolmente i procedimenti in base al paragrafo 175.

A migliaia morirono nei campi di concentramento, indipendentemente dal fatto che fossero colpevoli o innocenti. La Germania Est tornò alla vecchia versione della legge nel 1950, limitandone il campo al sesso con i minori di 18 anni nel 1968, e abolendola completamente nel 1988. La Germania Ovest mantenne la norma dell’epoca nazista fino al 1969, quando venne limitata a “casi qualificati”. Venne ulteriormente attenuata nel 1973 e abrogata completamente nel 1994 dopo la riunificazione tedesca.

Il delirio nazista per la creazione della razza ariana e per la concezione di un essere umano perfetto era il motivo per cui gli omosessuali erano perseguitati dal regime. Essere definiti “diversi” e quindi essere sterminati come tali.

La guerra portata avanti dal regime nazista agli omosessuali era parallela a quella fatta contro gli ebrei. Ma mentre agli ebrei la libertà dopo l’era nazista fu restituita, agli omosessuali la libertà non è stata comunque ridata… Con la fine di Hitler e della sua dittatura, gli omosessuali reclusi rimasero reclusi.

I perseguitati omosessuali uomini, secondo documento ritrovati subivano le stesse torture degli altri internati ed erano utilizzati dai gerarchi del Terzo Reich per esperimenti scientifici e clinici come cavie umane. Il medico danese e nazista Carl Vaernet appartenente alle SS, prestò servizio nel campo di concentramento di Buchenwald. Vaernet effettuò esperimenti medici, utilizzando come cavie umane internati omosessuali del campo, sulla possibile cura dell’omosessualità utilizzando composti di ormoni sintetici, sperando che essi potessero modificare l’orientamento sessuale dei “pazienti”: tra i sottoposti al trattamento almeno 13 morirono nelle settimane immediatamente successive. Nei campi di concentramento si praticava anche la castrazione per gli omosessuali. Chi si sottoponeva ad essa veniva considerato libero, perché accettando questa orribile cosa sulla propria persona equivaleva ad essere rivalutato agli occhi dei nazisti essendo poi considerato un individuo che ha volontà di “guarire”.

Gli omosessuali erano isolati dal resto degli internati, perché chi si accompagnava a loro poteva essere incriminato del reato paragrafo 175 e comunque sapendo cosa succedeva agli omosessuali nei campi di concentramento se ne tenevano lontani.

Per l’omosessualità al femminile il discorso era diverso anche se ugualmente orrendo seppur lo stesso orribile. Le donne erano pur sempre strumento di procreazione a prescindere dalla loro volontà. Venivano reputate depravate e in quanto tali perseguitate al pari delle prostitute tanto che molte di esse finivano per lavorare nei bordelli dei lager. Le donne lesbiche con il triangolo nero, violentate e umiliate per essere diverse.

Prima ancora dei triangoli agli omosessuali veniva attaccato al braccio un nastro giallo con sopra scritto in tedesco “Sodomita” seguita dal numero 175, il numero dell’articolo del codice penale tedesco che sanzionava la pratica omosessuale.

In Italia il clima per gli omosessuali era meno infuocato, vuoi per la polizia fascista, vuoi per il predominio della chiesa cattolica nel paese le relazioni erano represse sul nascere.

Non si ha ancora e forse non si avrà mai il numero di omosessuali deportati ma pare stando a testimonianze e documenti che il numero sia elevato. Prima della dittatura si conta fossero stati incarcerati circa 60.000 uomini per l’articolo 175.

La propria libertà si può definire tale quando non sconfina in quella di un altro individuo, ogni essere umano è libero ha sin dalla nascita e non dovrebbe esserne privato per nessuna ragione al mondo.

Papa Francesco dice “Chi sono io per giudicare gli omosessuali”, aggiungo, chi siamo noi per poter giudicare gli omosessuali.

Di Maria De Laurentiis

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