Salone del libro di Torino

Va ammesso: molti non ci speravano. Quando mesi fa, dopo le settimane di diatriba tra Aie e piccoli editori, furono annunciate le date dei due eventi principali dell’anno e Tempo di Libri decise di esordire il 19 aprile, anticipando di un mese la trentesima edizione del Salone di Torino, il timore era quello (concreto) che la prima fiera avrebbe fagocitato la prima, portando via editori e visitatori.
L’enorme macchina di comunicazione, un programma originale fitto di eventi divisi tra Rho Fiera e Milano alla chiusura degli stand aveva preoccupato anche Nicola Lagioia, neodirettore del Salone. Ma Tempo di Libri non è stato il successo annunciato (sessantamila i biglietti staccati, non pochi per una prima edizione, non molti per la gara serrata che i grandi editori pensavano forse di vincere) e vuoi l’attaccamento dei lettori alla fiera storica italiana, vuoi un senso di rivalsa dei torinesi (spinti anche dalla neosindaca Appendino), vuoi l’impegno dei piccoli editori pronti a occupare lo spazio dei grandi assenti (persino Einaudi: Mondadori ha impedito al marchio torinese di partecipare con un suo stand), il Salone quest’anno ha superato Milano e battuto se stesso: circa centosettantamila ingressi, tra il Lingotto e gli eventi del Salone off (l’idea di un maggiore coinvolgimento della città a stand chiusi viene da Tempo di Libri, va ammesso).
Ma anche numeri diversi avrebbero confermato la presenza, nei giorni del Salone, di un’atmosfera, di una passione che forse era finita tra gli scatoloni per gli allestimenti negli anni passati: un derby che forse è servito a Torino per ritrovare motivazioni e stimoli, andare “oltre i confini”, il motto dell’edizione numero trenta, e probabilmente oltre le mere logiche commerciali. Porte aperte dunque per il prossimo anno ai grandi editori, mentre Tempo di Libri ripensa già se stessa – Milano propone da anni Bookcity: perché non condensare sforzi e risorse per un solo evento, in un altro periodo dell’anno? Non perché le fiere debbano essere sfide per portare numeri e incassi a casa: ma se il centro di un evento deve essere il libro, nel suo essere un mondo aperto e sconosciuto, forse la convinzione di saper mettere in piedi l’impresa perfetta deve essere ripensata per dare spazio alle forze collettive, all’orgoglio che si trasforma in successo.

di  Giusy Patera

Print Friendly, PDF & Email