Oro rosso, tra sfruttamento e schiavitù
Lincoln la schiavitù l’aveva abolita. Ma spesso le ingiustizie cambiano solo nome. O magari cambiano le facce di chi le subisce. Oggi non sono più quelle dei neri impiegati nei campi di cotone negli Stati Uniti del sud ma quelle di migliaia di persone in difficoltà economiche e migranti irregolari senza permesso di soggiorno che arrivano in Italia – in larga parte via Libia – dagli stati dell’Africa subsahariana per essere impiegati nella raccolta dei pomodori. Non esistono cifre ufficiali riguardo il fenomeno ma si calcola che in Italia questa economia sommersa sia costantemente cresciuta negli ultimi dieci anni e che oggi muova un volume d’affari che si aggira intorno ai 15 miliardi di euro l’anno, per un totale di circa 430 mila persone soggette a sfruttamento. Sono braccianti dimenticati dalle stime ufficiali, dai censimenti. Anche la politica si gira dall’altra parte, nonostante lo scorso ottobre sia entrata in vigore una nuova legge a difesa di questi sfruttati del XXI Secolo. Vivono in baracche, come quelle del “Grande Ghetto” sorto tra i campi di San Severo, Rignano Garganico e Foggia. Pagano 40-50 euro per dormirci tutta la stagione. E ne guadagnano tre all’ora, quando gli va bene. Vivono in condizioni igieniche pietose, con acqua ed elettricità razionate perchè insufficienti per tutti. Questi nuovi schiavi lavorano anche 12 ore al giorno e vengono spesso sottoposti a violenze, soprusi, maltrattamenti da parte dei cosiddetti “caporali”, che oltre a calpestare i più elementari diritti sindacali, si fanno anche pagare il trasporto sul posto di lavoro. Ma i caporali sono solo un ingranaggio di un meccanismo molto più grande. In Puglia, ad esempio, la stragrande maggioranza di microaziende agricole dichiara di utilizzare solo manodopera familiare e di non aver bisogno di manodopera stagionale. Se fosse così non si spiegherebbe come fanno i cassoni a riempirsi. Che si colgano da soli, i pomodori ?
di Valerio Di Marco