Don Puglisi: il sacerdote che sconfisse la mafia con un sorriso.

“Il suo sorriso mi ha cambiato la vita. Quel sorriso puntato in faccia ha fatto di me un uomo nuovo. Devo tutto a lui, a don Puglisi e al suo sorriso”. Così Salvatore Grigoli, ex militante di Cosa Nostra e collaboratore di giustizia, ricorda gli ultimi istanti di vita di don Puglisi; “me lo aspettavo” le sue ultime parole, pesanti come un macigno, pronunciate con quel sorriso colmo di serenità e rassegnazione mista a benevolenza che solo un uomo di profonda fede è in grado di riservare, in punto di morte, ai suoi assassini. Nato in un quartiere periferico di Palermo il 15 settembre 1937, nel 1953, a soli sedici anni, mosso da una profonda vocazione entrò nel seminario palermitano, da cui sette anni dopo uscì sacerdote. Seguendo l’esempio del primo grande testimone di fede, Gesù, il figlio di Dio sceso in terra per riscattare gli uomini dal peccato originale e assicurare loro così la salvezza eterna attraverso il sacrificio della vita terrena, don Puglisi dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro il male, rappresentato in quei luoghi dalle organizzazioni criminali mafiose. La portata della sua opera di evangelizzazione è testimoniata da quanto accaduto a Godrano, paesino della provincia palermitana flagellato in quel periodo da una sanguinosa lotta tra famiglie mafiose, dove, nominato parroco nel 1970, riuscì nell’impossibile, facendo riconciliare le due famiglie in guerra. Sin dai primi anni del suo operato Puglisi dedicò particolare attenzione all’opera educativa verso i più giovani, ai quali voleva a tutti i costi offrire un’alternativa alla criminalità, che sembrava essere in quei luoghi l’unica opportunità. Tolse dalla strada ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto, sarebbero finiti tra le nuove leve della mafia, cercando di trasmettere la consapevolezza che è possibile ottenere il rispetto degli altri grazie alle proprie idee e ai propri valori, e che quello ottenuto attraverso la violenza e i soprusi non può essere definito rispetto. Nominato nel 1990 parroco a san Gaetano, in quel quartiere Brancaccio che vide la sua nascita, don Puglisi si schierò apertamente contro la mafia e contro chi deteneva per suo conto il controllo della zona, continuando nella sua missione di recupero dei giovani, sottratti così alle fila della criminalità organizzata. L’inaugurazione, nel 1993, del “Padre Nostro”, un centro di accoglienza ed evangelizzazione realizzato per un quartiere che oramai aveva sposato pienamente la causa di don Puglisi e che rappresentava, quindi, una grave minaccia alla tirannia mafiosa, fu la goccia che fece traboccare il vaso. A seguito di numerosissime intimidazioni che per nulla scalfirono la sua dedizione e la sua perseveranza, il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, don Puglisi trovò la morte per mano di due sicari, mandati da quei fratelli Graviano boss di zona a loro volta legati alla famiglia di Leoluca Bagarella. Ma, paradossalmente, è proprio nella sua morte che don Puglisi ha raggiunto il momento più alto della sua opera di evangelizzazione, al pari di quel figlio di Dio che nel sacrificio della sua stessa vita ha regalato agli uomini la salvezza eterna; è attraverso le sue semplici parole – me lo aspettavo -, attraverso la serena accettazione del suo destino testimoniata dal sorriso rivolto agli assassini che si compie il miracolo della redenzione. Le stesse modalità di esecuzione, che dovevano far sembrare l’assassinio l’esito di una rapina, ci raccontano di una mafia che forse per la prima volta ha quasi paura di rivendicare la morte di un suo nemico. Riconosciuto come primo martire vittima di mafia, il 25 Maggio 2013, a venti anni di distanza dalla sua morte, si è celebrata la cerimonia di beatificazione “in odium fidei”, la formula utilizzata nei casi in cui la morte sia sopraggiunta “in odio alla fede”, e che consente la beatificazione anche in assenza di grazia o miracoli. Eppure il miracolo più grande don Puglisi l’ha compiuto, inducendo il pentimento in chi aveva venduto la propria anima al diavolo macchiandosi di qualcosa come cinquanta delitti, e avendo, di fatto, sconfitto la mafia con un sorriso.

di Leandra Gallinella

Print Friendly, PDF & Email