Salvatore Castelbuono: il vigile ucciso dalla Mafia 39 anni fa.

Salvatore, detto Totò, viveva a Bolognetta, in provincia di Palermo. Aveva una moglie, Rosaria, e quattro figli: Giuseppe, Carmela, Cesare e Antonio.

Di professione, Totò, faceva il vigile urbano. Era una brava persona, una persona di coscienza. Forse proprio questa coscienza lo aveva spinto a collaborare con i Carabinieri di Bolognetta e con il Reparto Operativo dell’Arma di Palermo per aiutarli nella ricerca dei latitanti corleonesi.

Non tutti lo avrebbero fatto, anzi. L’omertà ha sempre regnato sovrana in quelle terre infettate dal virus della Mafia e della malavita, tranne che per quei pochi che sono stati disposti a mettere in gioco la loro vita e quella dei loro familiari per andare contro al regime mafioso.

Totò era uno di questi e, come capita ogni volta che qualcuno si intromette per denunciare la criminalità organizzata ed avere giustizia, è stato ucciso.

Era il 26 settembre 1978. Lo hanno trovato morto, ucciso da cinque colpi di pistola, nella sua automobile, nel comune di Villefrati, al confine con Bolognetta.

Sono stati i Corleonesi. La certezza arriva qualche giorno dopo, con una telefonata anonima ai carabinieri: “Carabiniere, dica al Comandante del nucleo investigativo che i suoi uomini hanno sfiorato da vicino l’uomo che cercavano. La banda che ha suonato per il Vigile Urbano suonerà pure per i Carabinieri.”

Solamente il 15 ottobre 2010 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferisce a Totò la Medaglia d’Oro al Merito Civile con la seguente motivazione: “Vigile Urbano di elevate qualità morali, con eroico coraggio collaborava attivamente con le forze dell’Ordine per la cattura di elementi di spicco della criminalità organizzata, perdendo tuttavia la vita in un vile agguato. Mirabile esempio di elevato senso del dovere e di eccezionali virtù civiche, spinti fino all’estremo sacrificio”.

Un esempio da seguire, sicuramente, ma anche che ci mette di fronte alla dura e cruda realtà: chi parla, chi denuncia, chi si ribella, deve essere pronto a morire, perché in Italia non esiste un adeguato programma di protezione testimoni che possa garantire l’incolumità di chi denuncia o si pente. E questo, molto probabilmente, è uno dei motivi principali per cui l’omertà, nel nostro Paese, regna ancora sovrana.

di Ludovica Morico

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