Woody Allen: quando lo sfondo è la storia vera

Quanti ne ha scritti e realizzati Woody di plot sentimentali simili? Intrecci, tradimenti, rovesciamenti, liti isteriche, colpi di scena, strizzacervelli, ecc. Eppure questa volta c’è qualcosa di più nel suo film appena uscito La Ruota delle Meraviglie. Inutile girarci intorno: questo particolare di più è la fotografia prodigiosa di Vittorio Storaro. Sotto la pelle della vicenda narrativa scorre la vera storia, il vero film: la perfetta atmosfera vintage con cui il nostro grande maestro delle luci riesce a conferire stile, colore e densità esistenziale alla acre sete di riscatto e d’amore di Ginny. Abbiamo così una curiosa eterogenesi dei fini, ossia un’inversione tra il senso della narrazione e i mezzi cinematografici usati per realizzare quel senso. La fotografia, infatti, è un mezzo usato dall’autore per esprimere al meglio il significato, il messaggio, lo scopo del film. La fotografia è ancillare, ossia al sevizio della storia. Qui, invece, si ha spesso l’impressione che sia la storia a porsi di fatto al servizio di un capolavoro artistico messo a segno dal direttore della fotografia. Una volta capito il senso del nuovo racconto di Allen, Storaro ingegna la sua consumata maestria ad attribuirgli una materia cinematografica fatta di una speciale pastosità luminosa e cromatica, tale da mostrarsi quale unico e autentico senso del discorso. Tutto ciò che sfugge alla coscienza, alla comprensione diretta di questa ex attrice quarantenne – ancora bella ma per la seconda volta infelicemente sposata e alla ricerca di un nuovo definitivo amore – lo dice con ammaliante precisione l’atmosfera vintage della spiaggia di Coney Island anni ‘50, con la sua grande ruota panoramica, il sole e le nuvole sulla spiaggia abbacinata di folla o fredda, deserta, i colori rossastri del tramonto dietro le tende trapuntate di una camera da letto. Ginny sente bellezza e felicità precipitosamente sfuggirgli proprio quando le ha pienamente tra le dita, nel contrasto con l’irresistibile giovinezza e irresponsabilità della figliastra Carolina. Contrasto che è soprattutto un riflesso dell’intera situazione familiare, che il regista cerca di dotare di un qualche sfondo del teatro americano del ‘900, soprattutto con riferimento al grande drammaturgo Eugene O’Neill, nome che fiorisce più di una volta tra una scena e l’altra dello sviluppo. Se l’eco drammaturgica è questa, la chiave di Allen – anche quando il dramma erompe nell’alcolismo represso – è sempre quella della commedia, dell’effetto ironico, comico, sardonico. Ecco, però: l’atmosfera di luci, riverberi, sfumature e colori tessuti magistralmente da Vittorio Storaro rimane suadentemente drammatica e seria, nel senso di vera e avvincente. La travolgente sensualità di Carolina, la bellezza e i sogni artistici di Ginny potranno fuggire ai suoi stessi occhi, a quelli del bagnino scribacchino Mickey, ma rimangono e, anzi, si esaltano nel magico sfondo fotografato da Storaro. Magico, però, non nel senso di irreale, anzi, tutto l’opposto. Nel senso del termine magis in latino, del di più che l’immagine conserva e restituisce, e non solo come memoria, ricordo. Del film in più che Woody Allen riesce a mostrare sotto quello concepito dal suo copione, dalla sua sceneggiatura originaria. Di più originario, infatti, c’è proprio l’atmosfera, lo sfondo esistenziale, dato che senza di esso nessuna storia sarebbe poi possibile. Di questo non ce ne accorgiamo, non ne abbiamo coscienza piena, perché noi stessi siamo lo sfondo, come una sua parte costitutiva. Se il cinema però ha un senso è proprio quello di metterci – come in uno specchio – davanti alla nostra coscienza, ossia alla nostra percezione dello sfondo di cui siamo parte. E Vittorio Storaro è a questo che riesce dare immagine e corpo cromatico sensibile. Lo sfondo come struttura permanente della bellezza esistenziale che ognuno di noi è.

Dopo Manchester by the Sea, un’altra azzeccata produzione firmata Amazon.

di Riccardo Tavani

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