“People for sale” e molto altro: l’inferno libico dopo il patto Minniti

A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. O più semplicemente “mors tua, vita mea”. Il mondo occidentale vive periodi di elezioni politiche in cui è fondamentale conquistare voti, poco importa se il Medio Oriente è dilaniato da bombe e violazioni. Anzi, meglio. La situazione potrebbe svelarsi favorevole ai grandi “esportatori di democrazia” soprattutto a quelli che, come in questo caso, nascondono la polvere sotto il tappeto.

La scorsa estate l’Italia, attraverso il ministro dell’Interno Marco Minniti, ha siglato un patto bilaterale con la Libia nel tentativo di limitare gli sbarchi sulle nostre coste. Obiettivo raggiunto: il 2017 si è concluso con il 34% di arrivi in meno, pari a 62.000 approdi. Che prezzo ha tutto questo? Per noi cittadini nessuno, il Pd avrà forse raccimolato qualche voto che renderà meno rovinosa la propria disfatta e quindi il conto non rimane che da pagare tutto ai migranti.

Ogni anno decine di migliaia di persone arrivano dalle latitudini più disparate, per non dire disperate, sulle coste libiche con il solo desiderio di raggiungere l’Europa. Attraversano fame, guerre, bombe, tanta morte e poca vita in viaggi che possono durare anche anni. La Libia, ultimo ostacolo prima di raggiungere il Mediterraneo, non è una dolce conquista: i campi di detenzione si rivelano teatri di violenze, torture e privazioni. Prima del patto Minniti queste persone potevano almeno sperare di poter pagare un trafficante che, su imbarcazioni precarie, li avrebbe portati in Italia, Grecia o Spagna da dove potevano ripartire per un altro viaggio attraverso le frontiere d’Europa. Oggi la guardia costiera libica sorveglia ancor di più affinché tutto questo non avvenga, fa sì che quanto deciso dai due paesi venga rispettato e le navi delle Ong che non hanno accettato di avere personale giudiziario a bordo, come previsto dal patto, hanno tirato oramai i remi in barca e quelle ancora attive o scendono a patti con i trafficanti di vite umane, gettando il dubbio che lo facciano per salvare quante più persone possibili o per ottenere più fondi, oppure vengono travolte da terribili scandali come successo di recente all’organizzazione internazionale no-profit Oxfam.

Non da molto tempo la Cnn ha mostrato al mondo un reportage che racconta la “tratta degli schiavi” libica: l’emittente inglese ha scovato un’asta di uomini venduti come forza lavoro nei campi, dove l’acquirente diventa padrone. Un tuffo nel 1500. Un’ordinanza del tribunale di Genova dello scorso 15 gennaio ha decretato che la situazione in Libia è “meritevole di tutela umanitaria”. Nel mentre il nostro ministro dell’Interno è volato a Washington dove l’Italia si è impegnata, accanto agli Stati Uniti, in un lotta per impedire che la Libia diventi la nuova base del disfatto Stato Islamico, progetto in cui il nostro Paese è “imprescindibile”.

Davanti a tutto questo c’è chi ha definito la Libia “un Paese a instabilità controllata, dove comincia a emergere un modello di gestione dei flussi migratori”. Parola di Marco Minniti.

di Irene Tinero

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