VOTA ANTONIO!

“Coinquilini! Casigliani! Quando sarete chiamati alle urne, per compiere il vostro dovere, ricordatevi un nome solo: Antonio La Trippa. Italiano! Vota Antonio La Trippa! Italiano! Vota La Trippa!”

(Dal film “Gli onorevoli”, 1963, regia di Sergio Corbucci)

Dai tempi in cui Totò gridava col megafono “vota Antonio!” ai suoi coinquilini e casigliani, gli slogan elettorali sono diventati apparentemente più articolati e meno divertenti. Ma restano altrettanto surreali: la campagna elettorale è sempre un gran teatro, con il suo divertimento ed i suoi inganni.

Quest’anno voteremo con una nuova legge, approvata da schieramenti politici diversi, in una sorta di prova generale delle “larghe intese” tra partiti che, di intese, giurano di non volerne assolutamente fare: ecco una prima, eclatante contraddizione di questa tornata.

Ma che ci sia profumo di intese ce lo dice un altra piccola novità: a Bologna, Casini si presenta in una lista alleata del PD. Questo è solo un esempio, ma non è l’unico caso di un rimescolamento delle carte, basato sul principio ufficiale dell’amor di patria e su quello ufficioso dell’amor di seggio. Ancora prodromi di intese tra personaggi e partiti di diversa estrazione.

Io non ho una gran fiducia nei nostri leader politici, ma so bene che non sono stupidi e, se qualche elemento manca in una legge, non è per caso. In questa legge mancano, soprattutto, due cose. Manca il voto disgiunto, così il candidato in quota maggioritaria è, di fatto, un capo-lista occulto: chi vota un partito in quota proporzionale non può non votarlo; ed anche se non volesse, lo vota in automatico. E’ una presa in giro che, fingendo di dare una chance all’elettore, dà un’ulteriore opportunità alla segreteria del partito. E manca il vincolo di un programma comune: dopo le elezioni le alleanze possono cambiare come meglio conviene. E la maggioranza che ha votato la legge elettorale (ovviamente per amor di patria, non per proprio interesse) potrà, più o meno ampiamente, ricostituirsi. Per amor di patria, non c’è bisogno di dirlo.

Altra novità è la tribolazione dei 5 stelle per i propri candidati. A prescindere dal fatto che i candidati in discussione non hanno fatto niente di illegale (hanno trattenuto per intero lo stipendio di deputati, cosa del tutto legittima, o sono stati affiliati alla massoneria, cosa altrettanto legittima), se non venire meno al “disciplinare” del loro movimento, resta il problema che anche il loro metodo di scelta non è risultata affidabile. E come potrebbe esserlo, se si basa su una piattaforma informatica privata, che non sempre funziona bene? Di Maio propone un escamotage costituzionale per costringerli alla dimissione (il vincolo di mandato alla portoghese), ma manca una riflessione seria – in tutti i partiti – su come garantire la trasparenza e la rappresentatività nella composizione delle liste. Come impedire la fioritura di tanti Antonio La Trippa nelle liste elettorali? In effetti, questi due elementi (legge elettorale e composizione delle liste) sono essenziali per la vita di una democrazia. Ma manca, sull’argomento, un impegno e un dialogo da parte dei partiti e, quel che è peggio, delle istituzioni.

Non possiamo perciò stupirci del livello piuttosto basso del dibattito pre-elettorale, dove il fumo negli occhi è l’arma più usata, assieme alla paura: paura del populismo, paura degli immigrati, paura dell’ingovernabilità, a seconda del “target”.

Abbondano le proposte sfolgoranti, come la flat tax, un modo di ridurre le tasse in modo proporzionale alla ricchezza: quanto più sei ricco, tanto più te le riduco. È ridicola, ma va alla grande, nelle sue diverse declinazioni.

Mancano, il più delle volte, discorsi più sensati su come davvero ridurre il debito, che non è cosa semplice né si può spiegare in un tweet; e richiede onestà e prudenza, perché si devono tagliare gli sprechi, non ridurre i servizi: ma si continua a non dire, con poche eccezioni, come e dove.

Mancano discorsi sensati su come promuovere l’occupazione e valorizzare i salari, perché la deriva verso la povertà dei disoccupati e dei nuovi lavoratori sta minando il nostro tessuto sociale ed impedisce il ritorno ad una più sana economia.

Manca un discorso serio sulla difesa del territorio, perché non bastano i finanziamenti, se non si esplicita una strategia che vada oltre le sanatorie degli abusi “per necessità”.

Manca un pensiero credibile su come combattere la corruzione, che ormai è sistema di governo ed è, tra gli sprechi di danaro pubblico, il più vergognoso; ed è il mare in cui meglio nuota la criminalità organizzata.

Non si parla di strategie per il futuro, non c’è una visione del domani che non sia miope se non del tutto cieca.

Resiste e si afferma l’ipocrisia di chi dice che i gruppi di giovani che salutano col braccio alzato e si tatuano le svastiche addosso non sono fascisti; e che chi spara per strada a dei passanti perché hanno la pelle nera non è razzista.

O che la politica dei respingimenti non abbandona i migranti alla mercé dei trafficanti di esseri umani, in una strana zona franca dalla legge e dall’umanità, ormai finanziata anche dallo stato.

E’ davvero difficile, in questo clima, scegliere per chi votare, perché non si capisce bene per che cosa si vota.

Per favore, non fateci rimpiangere Antonio La Trippa, italiano.

di Cesare Pirozzi

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