Loro migranti, noi italiani, tra odio e paura
Tra gli sconvolgenti fatti di Nizza delle ultime ore e il gravissimo episodio dell’omicidio di Emmanuel, a Fermo, corre un filo, neppure tanto sottile, del colore della paura che sfocia nell’intolleranza, e della tutela di sé stessi che diventa odio incondizionato per gli “sconosciuti”.
La cronaca degli ultimi mesi, dopo le analisi, dopo le ricostruzioni dei fatti, dopo la ricerca del chi e del perché, ci pone di fronte alla questione degli immigrati che arrivano in Italia e ci impone di prendere posizione a riguardo. La paura: l’ultimo episodio di terrorismo in Francia ci porta a credere al nesso, scontato e comprensibile, anche, tra immigrazione e attentati. Il buon senso probabilmente ci ricorderebbe che chi scappa da una guerra non viene nel nostro paese per scatenarne un’altra, o che i terroristi protagonisti degli ultimi attentati spesso si sono rivelati essere addirittura residenti del luogo in cui hanno seminato terrore e morte. Ma, spesso, quando si ha paura si pensa a difendersi: diventa difficile quindi, la vita di chi nella fuga pone l’ultima speranza di salvezza, e diventa ancora più difficile la vita di chi questa salvezza vuole renderla effettiva. “L’odio fa impressione”, ha commentato il premier Renzi dopo l’omicidio di Fermo. Oltre il populismo, lontano dalla retorica e dalle parole di politicanti di partiti per cui “bisogna rimandare indietro i barconi”, c’è infatti un’Italia vera che lavora in silenzio per accogliere in modo perlomeno dignitoso le migliaia di profughi che si riversano continuamente sulle nostre coste. Assicurare dignità a chi cerca fortuna in Italia e favorire l’integrazione tramite il lavoro è il punto di partenza di persone come Walter Scerbo, il sindaco di Palizzi (RC) che ha messo in piedi l’ambizioso progetto di ospitare gli immigrati nel proprio paese, nonostante le continue minacce di morte ricevute; a Igea Marina, poco lontano da Rimini, Giancarlo Pari, che ha deciso di ospitare nel suo hotel diversi gruppi di migranti, ha dovuto scontrarsi con la diffidenza degli ospiti, che ha minacciato di alloggiare altrove. Non si contano neppure le manifestazioni di protesta organizzate ogni qualvolta si ipotizzi, da nord a sud, l’apertura di centri di accoglienza per i rifugiati, eppure bisognerebbe aver preso coscienza del rischio che si corre favorendo l’emarginazione di gruppi che arrivano nelle nostre città. Chiudere le frontiere a che pro, se lo stesso odio e la stessa rabbia che temiamo sono già dentro di noi?
di Giusy Patera