Il bastone della pioggia (in morte di Marìa)

“Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”

Giorgio Gaber

Sono tanti quelli che accampano la scusa del mangiare, quelli che disertano le riunioni sindacali per non mettersi contro “chi comanda”, quelli che respirano l’aria intossicata dei diritti negati, quelli che pensano che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti” siano solo belle parole, quelli che non rompono mai il silenzio. Zitti e sazi, perché con un’idea  -anche se è un’idea giusta- non si mangia. Assolti dalla cena nel piatto ogni sera. Sono tanti, non fanno male a nessuno, forse. Ma nemmeno del bene.

Gli altri per un’idea, per un diritto negato, vanno incontro alla morte. Sono pochi, pochissimi, sono quelli sconfitti senza che nessuno avesse chiesto loro se volevano perdere. Nei rari spiragli che l’informazione riesce a ritagliarsi in questo tempo di pandemia, ci arrivano storie lontane di diritti negati e di vite tagliate, storie che il mondo trascura nella corsa che ogni giorno fa senza interrogarsi sulla violenza, sul sopruso, sulla guerra e sull’ingiustizia di cui è ancora capace. Come la storia di Maria Bernarda Juajibioy, leader indigena colombiana impegnata per i diritti umani, sindaco della riserva Cabildo Camentzá Biyá, assassinata il 17 marzo per mano di un commando armato. Maria stava viaggiando in moto in compagnia di altre donne. Un gruppo di uomini armati ha bloccato la moto, aperto il fuoco e ucciso  la leader indigena e sua nipote, una bambina di nemmeno due anni. La Colombia è il Paese più pericoloso al mondo per chi difende i diritti umani. Negli ultimi cinque anni sono più di 400 le persone uccise secondo i dati dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Dopo la smobilitazione delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) sono emersi nuovi gruppi armati che hanno preso di mira attivisti delle comunità indigene che si oppongono al traffico di droga nelle loro terre. Il governo non garantisce la protezione delle categorie più vulnerabili: promette, ma non mantiene.

“Per decenni, le donne indigene hanno dovuto sopportare sfratti brutali, intimidazioni, uccisioni e stupri … Hanno assistito al furto della loro terra e all’annientamento della loro autostima mentre il loro futuro diventava sempre più incerto. Tuttavia, nonostante le sofferenze, la resistenza di molte di loro continua a crescere, in ogni continente.”

Con María Bernarda Juajibioy, sono 34 i leader e difensori dei diritti umani assassinati nel 2021 e 1.148 dalla firma dell’accordo di pace tra le Farc e il governo di Bogotà nel 2016.

Le donne colombiane cantano per lei, e per tutte le donne uccise come lei, una CANZONE SENZA PAURA. Cantano chiedendo giustizia, gridano per quelle che più non ci sono, perché suoni più alto “ NON UNA DI MENO.”

Al loro canto nudo dà sostegno soltanto il suono del bastone della pioggia, uno strumento musicale sudamericano antichissimo inizialmente realizzato a partire da un tronco di cactus del deserto di Atacama, uno dei posti più estremi della terra. Il bastone della pioggia contiene spine e sassolini, scuotendolo si produce il suono dell’acqua che scroscia. Aiuta chi prega perché piova. Nel deserto di Atacama si dice che la pioggia cada soltanto una volta l’anno, il 31 di marzo: oggi. E per poche ore le piante che giacciono sepolte sotto la sabbia  sbocciano in coloratissimi fiori che durano meno di un giorno. Il deserto diventa rosso, intensamente rosso, coperto di minuscoli fiori color sangue.  E’ raro vedere fiorire le “rose di Atacama”, fiori che la precarietà accomuna a quei pochi, rari e preziosi individui, come Maria Bernarda Juajibioy, il cui valore  pulsa sotto il deserto della violenza e della disumanità.

di Daniela Baroncini

Canciòn sin miedo