Non solo le periferie, il cuore dell’Italia che rischia l’estinzione

Un paese diviso, spaccato in due. Al Nord la Lega con la flat tax. Al Sud il Movimento 5 Stelle che fa incetta di voti perché convince con il reddito di cittadinanza. É questa l’ormai consolidata analisi dei risultati del voto del 4 marzo. Una visione miope, che tende ad una semplificazione estrema. Non perché la classica dicotomia Nord-Sud non sia più vera. L’Italia è un luogo pieno di fratture e di disuguaglianze. Ma la geografia di queste fratture è complessa. Spesso si parla di periferie. Ma anche questa rappresentazione non coglie la totalità del problema. Non considera l’interezza dei tanti luoghi abbandonati e dimenticati. Luoghi lontani anche dalle periferie delle città.

Dove sono finiti tutti quanti? Verrebbe da chiedersi attraversando quei posti. Spesso zone di montagna o di alta collina. Le cosiddette aree interne, che vivono un fenomeno di spopolamento che dura da decenni, sin dagli anni 50. Sono tutte quelle aree lontane dai centri di offerta di servizi essenziali. Rappresentano il 60% del territorio italiano e al loro interno vive un italiano su quattro.

Quello della marginalizzazione di tali aree non è un processo limitato all’Italia. Basta pensare alle ‘rural areas’ britanniche che si sono opposte alla cosmopolita Londra nel voto sulla Brexit. Oppure, agli stati americani che hanno votato per Trump che coincidono con quelli che più hanno subito il decadimento industriale e il relativo spopolamento.

Nel caso italiano, però, il problema è forse più incisivo. I piccoli e medi comuni fanno parte di una ricchezza tipicamente nostrana e sono espressione di un patrimonio culturale e naturale che non conosce uguali nel mondo in quanto a varietà.

Il recupero di queste aree ha una duplice importanza. Sia per il loro enorme potenziale di sviluppo. Questi luoghi, infatti, sono custodi di un profilo manifatturiero prezioso, specialmente in un mondo che ha scenari di mercato sempre più globali e che valorizzano i fattori di peculiarità. D’altro lato, se questo flusso di invecchiamento demografico e di perdita di occupazione non venisse invertito, le conseguenze sarebbero quelle di un degrado culturale e paesaggistico pericoloso. Questo è in parte già visibile nel dissesto idro-geologico di molte zone d’Italia, da Nord a Sud.

É importante, allora, dare impulso a progetti come quello della Strategia nazionale per le Aree interne promosso dall’Agenzia per la Coesione Territoriale. Il progetto, attivo, dal 2014 segue due binari paralleli. Mira in primo luogo a rimuovere quelle barriere istituzionali che rappresentano una condizione necessaria per lo sviluppo di questi luoghi. Senza i servizi essenziali non si fermerà l’emigrazione da questi luoghi. Senza scuole, senza l’accesso alla salute e senza rendere accessibili questi luoghi, che sono diventati marginali anche in termini di distanze oltre che economicamente, non ci sono i presupposti per nient’altro. Pensando alla rete ferroviaria, per esempio, troppo si è investito per l’alta velocità trascurando il valore e l’importanza delle reti locali in un paese stretto e lungo come l’Italia. Una volta rimossi questi vincoli, la strategia punta a lanciare progetti di sviluppo. Con l’idea di base che solo le comunità che vivono il territorio possono rilanciare e trasformare in opportunità la società locale.

L’Italia non può permettersi di rinunciare a questo universo di saperi locali, di  tradizioni, di diversità, a meno di rinunciare al suo passato. Allo stesso modo non si può rinunciare ai nuovi immigrati che possono diventare un valore. Ma, senza prescindere da un integrazione che porti i nuovi italiani a capire l’importanza di queste tradizioni e allo stesso tempo ad arricchirle e innovarle.

di Pierfrancesco Zinilli

 

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