IN VIAGGIO CON UN LIBRO: LONDRA

Lichfield, alla stessa età in cui io vi andai a vivere – ventisette anni – e vi rimase fino alla morte. (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby) Ci sono libri-guida che vanno letti due volte: prima di partire perché ti preparano ad una città, e dopo, al ritorno, per ripensare quello che della città hai saputo cogliere. La mia Londra, di Simonetta Agnello Hornby, è uno di questi: una guida, ma anche una raccolta di racconti, una autobiografia, un inno a una Londra che continua a crescere e cambiare.

In una città nuova, mi lascio andare ai sensi e al caso. Senza pensare a niente, cammino, mi guardo intorno, mi unisco a una piccola folla curiosa, prendo i mezzi pubblici, compro il cibo di strada e mangio nei posti meno frequentati. Faccio una sosta, seduta su una panchina in un parco, bevendo una bibita in un caffè o appoggiata alla facciata di un edificio, come una mosca su un muro: e da lì osservo, odoro, ascolto. Se sono fortunata, piano piano l’anima del luogo mi si rivela. (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
“Osservavo le case (…): di mattoni rossi, alte tre o quattro piani, con tetti a punta, finestre di tutti i tipi – rettangolari, ad arco, sporgenti, rotonde, a bifora –, colonne, capitelli, sculture, decorazioni e fregi assortiti. Anche i vetri erano insoliti: trasparenti, opachi, smerigliati, colorati, a disegni geometrici, piombati; alcuni erano decorati con fiori, altri perfino con ritratti. Non ne riconoscevo lo stile architettonico: ottocentesco? Medioevale? Gotico? Rinascimentale? Alla fine, umiliata, desistetti e preferii guardare le persone. Come gli edifici, anche loro mi confondevano. Gli uomini erano diversi dallo stereotipo dell’inglese biondo, alto e con il ciuffo spiovente sulla fronte: erano di tutte le corporature, con capelli perlopiù castani e in abito scuro, scarpe lucide e ombrello in mano. Le donne: non belle e sciatte.” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
“Londra offese zia Graziella perché «troppo grande e caotica. (…) Proprio a Trafalgar Square, la zia ebbe una brutta esperienza che decretò la fine della sua spedizione in Inghilterra. Voleva attraversare la piazza: «Non rotonda, non quadrata e di nessuna forma geometrica. Un campo di battaglia su cui si aprivano stradine e stradone, viali e vicoli. C’era molto traffico: non soltanto di carrozze, omnibus e automobili, ma anche di gente… sbucava persino da sotto terra! Erano i passeggeri delle stazioni ferroviarie sotterranee e sembravano formiche». La zia si agitava, raccontando quell’inferno. Oltre a quel viavai, proprio sotto la Colonna di Nelson c’erano attori, saltimbanchi, bancarelle dove si comprava di tutto, cani randagi, bambini che si rincorrevano, adulti che davano da mangiare ai piccioni e un popolo che andava e veniva, comprava o si fermava a parlare. Zia Graziella, che pure non si arrendeva facilmente, non ebbe il coraggio di attraversare la piazza. Dovette prendere una delle ultime carrozzelle a nolo. Una volta in albergo, dichiarò: «Da qui, si esce soltanto per tornare a Parigi».” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
“Sono e continuo a essere sorpresa dalla quantità di alberi, piante e giardini che si trova a Londra. Si creano in continuazione spazi verdi anche piccoli, e si sfruttano ferrovie dismesse, zone industriali abbandonate, perché Londra si esprime liberamente nei propri parchi.” (…) Hyde Park fu aperto al pubblico agli inizi del Seicento da Giacomo I, l’amatissimo figlio di Maria Stuarda. Era popolato di cervi, oltre a essere uno dei posti preferiti per duelli – illegali – e per avventure galanti, ma anche per aggressioni, furti, prostituzione maschile e femminile. Durante la settimana l’aristocrazia e i ricchi mercanti – a volte anche i reali – vi passeggiavano in carrozza per vedere ed essere visti. La domenica potevano entrarvi tutti gli altri. Nel Seicento, il viaggiatore francese Grosley volle passarvi la notte, al riparo di uno dei berceau sotto i quali ci si poteva sedere, riposare o fare un picnic. Quando si svegliò si ritrovò circondato da gentilissime prostitute, rimaste a vegliare su di lui.” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
“Il Tamigi è ormai un pensionato: il traffico è limitato ai battelli turistici e alle lance della polizia, oltre Tower Bridge si trovano barche a vela e motoscafi ancorati nelle darsene dei vecchi docks divenuti abitazioni di lusso. Lì il porto è ampio e profondo. Fino all’inizio del Novecento tutte le imbarcazioni della flotta britannica potevano risalirlo dalla foce e attraccare. Fu soltanto nel 1913 che Londra cedette a New York il primato del porto più trafficato del mondo. Oggi i grattacieli, e non i velieri, segnano il corso del fiume, da ambo i lati. Appaiono dopo il ponte di Waterloo. I grattacieli della City sono interni, mentre a sud quelli nuovissimi lambiscono la riva, come iceberg di vetro dalle angolature ardite, sotto la lunga ombra dell’ultimo arrivato e il più alto in assoluto, lo Shard, la scheggia a due punte di Renzo Piano.” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
“Il parco reale di Greenwich occupa la collina su cui sorge il Royal Observatory, dove fu tracciato il meridiano che segna la longitudine zero. In un certo senso, è l’ombelico della Terra. È uno dei miei parchi preferiti. A zone in cui alberi e arbusti sono stati piantati seguendo uno schema geometrico si alternano altre apparentemente disordinate. Le piante nate da un seme volato per caso sono rispettate e i vuoti lasciati da quelle che muoiono non vengono necessariamente riempiti. Il risultato è un’opera congiunta di uomo, natura e caso. La totale assenza di fiori è ingentilita dalle diverse tonalità di verde delle foglie dei cespugli, quasi un ricamo di seta cangiante.” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
Con l’underground “Londra cambiò radicalmente. I treni andavano a carbone; il fumo era altamente tossico, e benché i vagoni ormai fossero chiusi, penetrava anche all’interno. All’uscita si vendevano ricostituenti e tonici per i passeggeri, eppure le compagnie ferroviarie cercavano di sostenere che quei vapori in verità facevano bene alla salute: un po’ come avrebbero fatto i produttori di sigarette nel secolo successivo, giocando sulla dipendenza dei fumatori dalla nicotina. ” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
“Chiunque poteva sperare di fare fortuna: la City premiava chi aveva talento e ambiva al successo. La gente camminava per strada veloce, e in silenzio; negli uffici non perdeva tempo in chiacchiere con i colleghi e lavorava con poche pause. Quando era necessario, si lavorava di notte e il weekend -in genere tutti insieme.” (da “La mia Londra” di Simonetta Agnello Hornby)
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