Non sono eroi

Antiretorica sui “lavoratori necessari” della pandemia

Nel film Shindler’s List, c’è una scena in cui il protagonista per salvarlo da un’esecuzione sommaria, definisce come “lavoratore necessario” uno degli ebrei della sua fabbrica. Per quanto fosse stato pronunciato in modo quasi sarcastico, quell’appellativo aveva la funzione di tutelarlo, come tutti gli altri suoi dipendenti. Oggi si sente parlare nuovamente di “lavoratori necessari”, ma non esattamente con quell’intento: riferendosi a coloro che operano nella sanità, nelle forze dell’ordine, nella totalità della filiera alimentare e a tutti quelli che operano nei servizi utili, si è solo voluto differenziarli col concetto di necessarietà, da coloro che possono non lavorare. Mentre altri si lamentano della noia di dover restare a casa, costoro ogni giorno sfidano il rischio d’infettarsi, devono cautelarsi da multe e denunce col giusto “lasciapassare” (moduli di autocertificazione) e devono lavorare indossando degli scomodi Dispositivi di Protezione Individuale (tipo mascherine e guanti), che affaticano ben oltre il disagio che causano: è molto pesante lavorare indossando una mascherina e dei guanti di gomma, per tante ore consecutive.

Con retorica abusata, qualcuno ha trasferito il termine di Eroi dagli operatori sanitari, che s’ammazzano di lavoro e che a decine s’infettano per assistere i contagiati, a tutti coloro che di questi tempi lavorano. Sarebbe meglio che non si abusasse di simili parole, da riservare chi sia andato consciamente incontro alla morte, come i tecnici di Chernobyl e di Fukushima, come ai pompieri newyorkesi dell’11 settembre, come ai volontari delle ONG che curano e assistono gli inermi, in zone di guerra. Invece di blandirli con un termine esagerato, sarebbe il caso che i benpensanti da salotti e spot televisivi, si adoperassero affinché a tutti i “lavoratori necessari” venissero fornite le giuste tutele e fossero riconosciuti i giusti corrispettivi, per i rischi e i disagi che devono affrontare ogni giorno. In molti preferiscono lavarsi la coscienza chiamandoli “eroi”, salvo poi mostrare loro disprezzo, con la pretesa di l’assoluta disponibilità e vanificando i loro sacrifici e il loro lavoro, con l’incapacità di seguire le semplici regole per contenere i contagi.

Parlando con molti di questi lavoratori, ci si rende conto che non si sentono eroi, che la maggior parte sono anche arrabbiati perché si sentono costretti a lavorare, mentre vorrebbero rimanere a casa, stipendiati, come fanno altri. Parlando con loro, ci si rende conto della paura che hanno di portare il virus ai loro cari. Nei loro racconti si trovano: più o meno marcate segregazioni domestiche, che sanno di rinunce affettive; accortezze igieniche al limite della nevrosi; terrore di uscire di casa per non tornare più… Certe frasi, tipo “La mia quarantena, comincia ogni giorno”, dovrebbero far riflettere.

Sul bonus governativo per chi lavora (ovviamente, lo Stato fa quello che può), lo sfogo contenuto nella semplice domanda “La mia vita, vale solo 100 euro?” è una stilettata. E, di fronte ai tanti che comunque cercano di aggirare i divieti, un semplice “Perché non usiamo l’esercito? Bisogna sparargli!”, racchiude una sorta di rabbia vendicativa , di fronte alla vanificazione del proprio sacrificio quotidiano. E quando un’importante esponente dell’opposizione, col suo cospicuo stipendio parlamentare (nonostante un assenteismo che sfiori l’80%), richieda l’apertura dei negozi “h-24”, per consentire di fare più agevolmente la spesa (…), l’indignazione dei lavoratori della Grande Distribuzione è spontanea: chi non risponda con insulti, fa presente che non c’è bisogno di restare aperti anche nei festivi, perché “quando si sta a casa sette-giorni-su-sette, ogni giorno è domenica”.

Questa rabbia fuoriesce anche nelle riflessioni sui costi sociali del lockout, per chi non sia rimasto a casa, che fa dire loro che “…noi pagheremo due volte…!” Queste parole, che nessuno sentirà, sono intrise di amarezza, che sfocia anche in affermazioni quasi riprovevoli, indegne dell’appellativo di “eroi” che qualcuno vuole dare loro. Ma è proprio in quell’amarezza che bisognerebbe indagare e proprio da costoro, che vorrebbero restare a casa e che lavorano ogni giorno, che si potrebbe imparare. Se li ascoltassero, anche i governanti potrebbero ricavare degli ottimi consigli, per arginare le fughe dal domicilio: tessere per limitare il numero delle spese; autorizzazioni on-line preventive, per comprovati motivi; incentivi; distribuzione dei rischi e della fatica…

Gli eroi per molti sono altra cosa, sono senza macchia e senza paura. Ma forse è proprio questo l’errore di fondo: pensare che l’eroismo debba essere al di sopra della natura umana. I “lavoratori necessari” non sono eroi, sono solo persone che, in questa società malata di egoismo, fa comunque la propria parte. Non meritano un monumento alla memoria, ma più tutele, più riconoscimenti ed un po’ d’ascolto.

di Mario Guido Faloci

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