Dorothy Day sempre a fianco dei “senza lavoro” e “senza casa”

Dorothy Day, nella sua autobiografia, continuamente ristampata, aveva scritto: «Quando morirò spero che la gente dirà che ho cercato di far memoria di ciò che Gesù ci ha raccontato e ho cercato di vivere secondo il Suo esempio e seguendo anche la saggezza di scrittori e artisti come Dickens, Dostoevskij e Tolstoj, che vissero pensando sempre a Gesù». Qui torniamo a dirlo nel quarantesimo anniversario del suo addio, il 29 novembre 1980. Una donna che ha colmato la sua «lunga solitudine» donandosi pienamente agli altri con i fatti e nella verità. Non a caso sulla sua lastra tombale insieme alle parole “Deo gratias” sono incisi, in alto, pane e pesci, simboli eucaristici. 

È stata chiamata in tanti modi: una giornalista radicale, anarchica, femminista, attivista libertaria, bohémienne, ma pure convertita e mistica.

Di sicuro la figura più importante, interessante e influente nella storia del cattolicesimo americano.

Qualcuno, però, più semplicemente, l’ha definita una santa. Titolo che avrebbe fatto sussultare il cardinale conservatore Francis Spellman, arcivescovo di New York dal ’46 al ’67; che poi è stato usato ai suoi funerali quarant’anni fa dal cardinale Terence Cooke, pure più volte in disaccordo con lei. Citata da papa Francesco cinque anni fa, a Washington, nella sede del Congresso tra le figure che «hanno dato forma a valori fondamentali e resteranno per sempre nello spirito del popolo americano», Dorothy Day è probabilmente colei che ha rappresentato l’impegno maggiore nell’applicazione degli insegnamenti sulla giustizia economica e sociale e sul male della corsa agli armamenti. Una militante a fianco dei “senza lavoro” e “senza casa”. Sempre accanto a quell’ umanità vulnerabile che la crisi economica del ’29 e la Grande Depressione avevano fatto esplodere. Come? Con le marce, i digiuni, le preghiere, e – dal primo maggio ’33 – con il “Catholic Worker”, un mensile passato in due anni da 2.500 a 150.000 copie. Un progetto non solo editoriale, ma fondato su due livelli di intervento: la chiarificazione del pensiero con la stampa, la creazione di case di ospitalità e di comuni agricole dopo aver assunto i tratti di una community costellata di centri di solidarietà. 

Un movimento che voleva servire i poveri e, al contempo, sfidare le strutture causa di tante disuguaglianze. Ecco Dorothy, sorta di “coscienza radicale” della Chiesa cattolica americana di allora, che non rallentò nemmeno con l’avanzare dell’età. Una vita di azione e pensiero conclusa a ottantatre anni. Segnata dal dinamismo della carità, e da una dimensione mistica per la costante relazione con Cristo. L’avventura da non dimenticare di una donna di fede che non fu esente da dubbi. Ma che mai dubitò di una fede che tutti chiama al servizio. Di certo resta una testimone credibile, un esempio cui guardare in un mondo in cui la divisione fra ricchi e poveri ha raggiunto sproporzioni ancor più folli di quando la denunciava, in un mondo non solo sempre dilaniato da guerre, ma che si combattono facendo un uso blasfemo del nome di Dio.

Ed oggi, a 40 anni dalla morte, il suo impegno resiste come un monito per un mondo che ha e continua a mitizzare il benessere. 

di Stefania Lastoria