La cine anima di Cecilia

Dal 21 gennaio scorso su quello schermo che chiamiamo realtà, non vediamo più la grande cineasta documentarista, fotografa Cecilia Mangini. Novantatré anni che valgono il doppio per quante vicende, contrade umane ha intensamente percorso, vissuto, filmato, fotografato, fatto entrare sotto la pelle del nostro cinema. Nata nel 1927 a Mola di Bari, aveva cinque anni di meno di Pier Paolo Pasolini, nato nel ’22 a Bologna.  A trent’anni lei non aveva ancora girato niente, non la conosceva nessuno nel mondo del cinema. Chiama direttamente al telefono Pasolini, che era già un vate della nostra letteratura. Lui le risponde. Nasce immediatamente una collaborazione che sarà cruciale per entrambi. 1958: Ignoti alla città; 1959: La canta delle marane; 1960: Stendalì – Suonano ancora. Cecilia alla macchina da presa, Pier Paolo alla macchina da scrivere, per i testi. Un inizio folgorante, uno stile e contenuti che squarciano lo schermo: quello dietro cui si occulta la realtà sociale. Ammirazione e censura sarà un binomio che accompagnerà molte decisive opere di Mangini. Soltanto nel 1961, dopo quei tre film con Mangini, Pasolini realizza Accattone, il suo primo film da autore e regista,. E tutto il suo primo cinema è inseparabile dalla lezione neorealista appresa da Cecilia.

Lei dice che il neorealismo l’ha salvata dalla falsità, dalla retorica, dalla distanza occultante. Ma quanto realismo esistenziale lei ha restituito al nostro cinema?  Aveva tutte le qualità e le capacità di passare al grande cinema di finzione. Aveva anche presentato il copione di un suo film a Italnoleggio, una delle prime grandi aziende italiane che forniscono attrezzature cinematografiche e che aiutavano i registi esordienti. S’intitolava Se. Aveva presentato, però, un progetto anche suo marito, Lino Del Fra, con il quale aveva realizzato già diversi importanti lavori. Era il documentario Antonio Gramsci, I giorni del carcere. Le risposero che se ne poteva finanziare soltanto uno: o il suo o quello del marito. A Cecilia sembrò politicamente, culturalmente più importante per gli italiani quello su Gramsci. Si buttò a capofitto a collaborare come sceneggiatrice su questo, che uscirà nel 1977, tra celebrazioni e maledizioni, come al solito. Più tardi, però, si è domandata – senza mai essere capace di rispondersi – se non fosse stato meglio puntare sul suo film Se.

Anche Essere donne, realizzato nel 1965 per la Unitelefilm, produzione legata al Partito Comunista Italiano. Si mise anche a lavorare nei campi, nelle catene di montaggio industriali per essere dentro, e non solo riprendere da fuori quelle donne. Il film ha la stessa sorte delle sue opere più decisive: osannato e biasimato. E questa volta, in parte, anche dallo stesso committente. Oggi, però, è riconosciuta come una delle massime e ancora attuali espressioni di cinema, civiltà e coscienza femminista. Era già successo nel 1962 con Allarmi, siam fascisti!, commissionato dalla direzione dell’Avanti!, storico quotidiano del Partito Socialista Italiano. Il film fu censurato già in fase di lavorazione. Giulio Andreotti in persona, responsabile del settore cinema per la Democrazia Cristiana, si adoperò per impedire di accedere agli archivi di Cinecittà a Cecilia, suo marito e Lino Miccichè. Quest’ultimo si dovette caricare dell’incombenza di percorrere l’intera Europa dell’Est e dell’Ovest per ricercare ed estrarre immagini dalle cineteche di quei paesi. La raccolta dei materiali diede vita a una delle più importanti opere documentaristiche di ogni tempo, della durata di circa due ore. I testi hanno la firma del poeta Franco Fortini.

La libertà critica, di pensiero che ha improntato tutta la produzione di Cecilia Mangini, come regista, autrice, sceneggiatrice, partecipe attiva di lavori altrui, ha sempre sorpreso perché va fuori gli schemi, le visioni, le intenzioni precostituite degli stessi committenti. C’è chi rimane folgorato per bellezza e arditezza, chi secerne velenosa bile censoria. Impossibile, in poco spazio, parlare adeguatamente di tutte le sue opere. Solo una cosa: sono state altrettante difficili battaglie, soprattutto perché battaglie di una donna.

In rete e sui siti social dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD) è possibile rivedere alcuni dei suoi più importanti film.

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email