Siamo tutti fratelli Karamazov

Il grande inquisitore, il romanzo nel romanzo di F.M. Dostoevskij, magistralmente rappresentato al teatro Tordinona di Roma, su drammaturgia, regia impeccabile minimalista e intensamente coinvolgente, di Marinella Anaclerio. Sul palcoscenico Flavio Albanese e Tony Marzolla, non bravi, ma più bravi dei personaggi del romanzo. Talmente bravi da aprire un varco nella mente e nelle riflessioni del pubblico, ipnotizzato dalla verve con cui vengono recitati i monologhi dei due fratelli Karamazov.

“Siamo tutti fratelli Karamazov…” dice Aleksej rivolto al pubblico, dopo aver salutato con un bacio sulla bocca il fratello maggiore Ivan. Siamo tutti fratelli Karamazov perché il dialogo non è fine a se stesso, ma un dialogo con il tempo attuale, con i punti di vista e le consapevolezze con cui si delinea il vivere quotidiano. È il dialogo   necessario per uscire dalla tiepidezza che si nasconde dietro le incertezze. Una tiepidezza attuale, talmente attuale che conduce alla non azione, ad un rimandare, ad uno sgravio di responsabilità demandando ad altri, alle religioni, il compito di mediare, di intervenire, di limitare e non decidere.

Seduti ad un tavolo di una trattoria russa, subito dopo aver chiuso la porta, i due fratelli entrano in un intimo e profondo confronto sulla libertà e sui bisogni dell’uomo, nel tentativo di fare incrociare nell’infinito due rette parallele, che non sono altro che le due visioni contrastanti.

Flavio Albanese e Tony Marzolla, tengono il palcoscenico con umiltà, senza presunzione, segreto questo, di una recitazione eccellente in grado di rapire lo sguardo del pubblico e tenerlo incollato alla poltrona fimo all’ultima battuta.

Due attori, due visioni contrastanti, due parallele infinite, ed è lì che Ivan non si rassegna a credere in un Dio che perdona chi uccide e tortura i bambini sotto gli occhi delle loro madri e coglie con estrema lucidità l’autoinganno degli uomini che si ostinano a credersi liberi ma si lasciano incantare dai miracoli, sedurre dal mistero, governare con l’autorità. “Perdono il corpo, la persona, non la sofferenza che ha causato…” una considerazione che ci riappacifica con la nostra etica e con la nostra ragione, non sempre etica. “Che libertà può esserci, se l’obbedienza è comprata con i pani? La libertà e il pane sono inconciliabili (su questo ritmo si nota la grande capacità della regista-drammaturga Marinella Anaclerio). Sul tavolo di legno, da osteria, c’è soltanto una natura morta, una bottiglia è un piccolo bicchiere. Un bicchiere che Ivan riempie e porta continuamente alla bocca, in una smodata sete di conoscenza, di sapere. Una conoscenza che non lo libera dal suo Satan. Un sapere che lo rende prigioniero della sua ricerca filosofica di libertà . Allora si affida al racconto del Grande Inquisitore, uno dei capitoli più intensi e significativi del romanzo di Dostoevskij “I fratelli Karamazov”, per far presa sulle incerte certezze del giovane Aleksej, vestito con l’abito monastico e sostenuto dalla fede, una fede basata sul mistero, sull’autorità e sui miracoli. Tre elementi che rendono l’umanità.

di Nicoletta Iommi e Claudio Caldarelli

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