Età pensionabile e la sensazione di non farcela più

Siamo a novembre e il Governo è ancora impegnato nel disegno di Bilancio 2022, in ritardo rispetto alla scadenza del 22 ottobre, quando avrebbe dovuto presentarlo alle Camere. Tra i nodi da sciogliere c’è, tra gli altri, la riforma del sistema pensionistico. Si discute sulla possibilità di un ritorno al sistema ordinario delle pensioni ovvero alla legge Fornero, sull’aumento dell’età pensionabile in maniera adeguata all’aspettativa di vita, sulla opportunità di posticipare di uno o più anni la soglia pensionistica prevista dall’attuale Opzione donna. In questo contesto appare utile ogni sforzo che tenda a porre in risalto l’incidenza del fattore anagrafico, ossia dell’età in cui una persona potrà godere di una rendita permanente da parte dello Stato, sulle possibili ripercussioni in termini di salute psico-fisica della persona stessa.

Il dato più significativo è quello statistico, che evidenzia la stretta correlazione tra le morti sul lavoro e l’età anagrafica delle vittime. Secondo l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro –   il 25% degli incidenti mortali avvenuti durante la prestazione lavorativa ha riguardato persone con più di 60 anni d’età. Il fondatore dell’Osservatorio, Carlo Soricelli, ha definito queste tragiche morti: “omicidi sociali”.

Ma c’è anche un altro aspetto rilevante: la sindrome da burnout. Burnout è un termine inglese che letteralmente significa “bruciato”, “esaurito”, scoppiato”, e viene utilizzato con specifico riferimento alle persone che non sono più in grado di reggere il carico di lavoro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato che il burnout si riferisce solo al contesto lavorativo; si tratta infatti di una psicopatologia del lavoro, un logorio professionale che si manifesta con sintomi molteplici a livello fisico, psico-emotivo e comportamentale. Anche le cause del burnout, non sono univoche: mancate aspettative legate al ruolo, relazioni interpersonali, caratteristiche del luogo di lavoro.   Alcuni esperti del settore sostengono che il rischio di burnout aumenti con l’età, altri che questo si manifesti subito dopo i primi anni lavorativi. In Italia, che ha il primato di nazione con i lavoratori più vecchi d’Europa e l’entrata nel mondo del lavoro avviene in età già avanzata, le due teorie finiscono per sfiorarsi.

E mentre il Governo va dritto verso una riforma che sembra destinata a mantenere il triste primato, Papa Francesco, nella preghiera del mese di novembre, sembra cogliere il segno dei tempi quando rivolge un appello chiedendo che “quanti soffrono di depressione e burnout trovino da tutti un sostegno e una luce che apra alla vita”. Il Papa ha usato anche il termine “burnout”; si sta rivolgendo dunque ai lavoratori e a chi si occupa del mondo del lavoro, della sua organizzazione, della sua efficienza, non soltanto in termini economici ma anche in funzione del benessere psico-fisico del lavoratore.

Il tentativo di rattoppare i danni delle c.d. baby pensioni da un lato e di non prosciugare del tutto la disponibilità per le generazioni future dall’altro, non può tramutarsi soltanto in un irrigidimento del sistema previdenziale, non può essere soltanto una questione economica.  

di Nicoletta Iommi

 

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