Occhio per occhio e il mondo diventa cieco

“Occhio per occhio e il mondo diventa cieco” questo il motto del Mahatma Gandhi, che cercava, con questa frase, persone disposte ad ascoltarlo e comprenderne il messaggio non violento, pacifico e pacifista. Le persone avvertono il desiderio di vendicarsi quando si sentono profondamente ferite. Quando qualcuno che amiamo ci fa del male. Quando siamo vittime di una aggressione, singola o collettiva, la ferita che si apre, lascia una cicatrice emotiva che arde e si autoalimenta, di un calore intenso, e che chiede di essere spenta con un’altra ferita da infliggere al cuore dell’aggressore, in questo caso la Russia. Ma la vendetta è un tentativo fallito di calibrare la bilancia, perché per quanti tentativi si realizzino, questa rimarrà sempre squilibrata.

“Mentre la guerra in Ucraina…con il suo quotidiano feroce sacrificio di sangue, si fa sempre più acuta, abbiamo la sensazione che per un qualche errore possa accadere l’irreparabile. Un allargamento del conflitto ad altri paesi, magari Nato. Un confronto di scala maggiore, per estensione e distruttività. D’altra parte si sa, quando in un luogo si ammassano troppe armi, le armi possono sparare da sole (avete presente il fuoco amico ndr)…Ma soprattutto si sa che quando nel racconto prevalente viene costruito uno scenario, le possibilità che quello scenario si materializzi sul terreno crescono in modo esponenziale”. Così Marco Revelli, ci fa riflettere sulla possibile imminente catastrofe, di cui saremo testimoni, che si sta costruendo con la “disinformazione” a senso unico, pilotata dai governi, in balia delle lobby della industria bellica e degli USA.

Per questo, ciò che avviene nel “mondo della informazione” è importante. Carico di responsabilità. E il mondo dell’informazione oggi, almeno quello italiano, è sempre più drammaticamente ostaggio della guerra. La censura alle parole di Papa Francesco ( l’aumento delle spese per gli armamenti è una vergogna) ne sono l’esempio più eclatante. Tutto, dagli articoli ai palinsesti, è ricondotto alla logica delle armi. È come se l’intero repertorio della diplomazia, che pure in circostanze altrettanto drammatiche ha spesso inventato soluzioni civili, o comunque accettabili rispetto alla alternativa del massacro, fosse andato d’un colpo “fuori corso”.

Mentre chi prova ad accennare all’ormai ampia e sofisticata elaborazione da parte delle teorie della non-violenza, non tanto sui fini quanto su quello dei mezzi, spesso più efficaci di quelli rozzamente consueti della tecnica militare, viene deriso, censurato, messo ai margini, etichettato e messo nella trincea degli aggressori. Ma le teorie della non-violenza non parteggiano con nessuno dei belligeranti, tantomeno con gli aggressori.

Penso a Gene Sharp e al suo manuale “The Methods of nonviolent action”, sull’uso strategico dell’azione non-violenta come alternativa pragmatica alla violenza. È bello pensare anche all’elaborazione filosofica sulla non violenza di un grande socialista come Aldo Capitini, l’inventore della marcia Perugia-Assisi nel pieno della guerra fredda, quando lo scontro nucleare sembrava ad un passo. C’è un enorme patrimonio di idee, azioni, elaborazioni, su cui hanno operato intere generazioni di pacifisti, mai rassegnati a subire la prevaricazione degli aggressori e dei prepotenti, ma consapevoli della elementare verità, ripetuta dal fondatore dell’Arsenale della Pace di Torino, Ernesto Olivero, secondo cui “il ricorso alle armi non è mai la soluzione”.

Lo stesso concetto espresso da Gandhi con l’affermazione “Occhio per occhio e il mondo diventa cieco”. Oppure quando rimarcava “Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo, mentre il male che fa è permanente”. Tutte frasi riprese quando bisognava far bella figura alle comparsate televisive o per le kermesse elettorali, ma impronunciabili oggi, sommerse dal tuono dei cannoni e confinate nell’angolo dove vengono derisi i non violenti chiamati “ anime belle” fuori dalla realtà. Tutto si consuma nel silenzio prostrato della informazione “pensiero unico” sostenitrice del riarmo e della corsa a fornire armi che continuare a combattere, uccidere, massacrare. Questa follia europea, ci ha portato in un economia di guerra, così definita da Draghi, nel chiedere di votare la spesa militare al 2 per cento del Pil (circa 34 miliardi) per sacrificare la sanità. Togliamo e tagliamo le cura per creare migliaia di persone che con la guerra hanno bisogno di cure. Ma non ci sarà posto, ne per gli uni, ne per gli altri. Gino Strada ripeteva che i morti e i feriti delle guerre sono gli aggressori e gli aggrediti, e la sofferenza e il dolore e si entrambi.

di Claudio Caldarelli

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