È cambiato qualcosa? (5/5)

“Torino, Torino, che bella città, si mangia, si beve e bene si sta!” Così recitava una nota filastrocca pugliese del primo dopoguerra e solo in quegli anni, con crescita migratoria esponenziale, si trasferirono al nord Italia oltre un milione e mezzo di meridionali. E proprio di fronte a quel dramma sociale, prodotto da un paese diviso economicamente in due tronconi, sarebbe stata necessaria una guida politica che fosse stata interprete della totalità del popolo italiano. Non fu purtroppo così! La nuova amministrazione USA, guidata da Harry Truman, il 12 marzo 1947 emanò la propria dottrina, in base alla quale i comunisti e i loro alleati dovevano essere posti fuori dai governi nazionali. Guarda caso, proprio come sta avvenendo 75 anni dopo, De Gasperi partì per l’America il 4 gennaio 1947 e non andò a prendere ordini (così raccontarono sia lui che la Democrazia Cristiana) ma andò a trattare gli aiuti all’Italia! Proprio in quei giorni la mafia, già allora trionfante in Sicilia, uccise a Sciacca Accursio Miraglia, dirigente del Partito Comunista e segretario della Camera del Lavoro, senza che gli obiettivi giornali nazionali ne parlassero. Questo era il clima politico allora vigente, ed infatti a maggio dello stesso anno i socialcomunisti furono estromessi dal governo nazionale semplicemente perché quella fu la volontà degli USA. Ironia della sorte, i vincitori si trasformeranno in vinti e lo stesso De Gasperi ne uscirà indebolito e subirà una pesante disfatta in occasione delle elezioni del 1953 nelle quali non riuscì a far passare la famigerata legge truffa. Così Giorgio Amendola racconterà quel particolare momento storico. “In definitiva alla lunga lo sconfitto fu De Gasperi, abbandonato dal suo partito nell’estate del 1953, battuto nel congresso di Napoli della DC, scavalcato da un nuovo gruppo dirigente guidato da Fanfani. La morte segue a breve distanza la sconfitta politica.” Ma a Torino si mangiava e si stava bene mentre il SUD continuava a subire una devastante emigrazione verso paesi che offrivano possibilità di una vita decente a persone cui lo stato italiano, dopo un secolo dalla Unità, non era stato capace di offrire una esistenza degna di esseri umani. Dal 1946 al 1960 sono emigrati all’estero 4.065.121 italiani, 1.703.597 sono stati i rimpatri e 2.361.529 coloro che non sono più rientrati. Se a questi si sommano i migranti verso il nord Italia si ha l’esatta dimensione della spoliazione in termini di intelligenze e capacità lavorative subita dalle regioni meridionali. Alcuni dati economici sono illuminanti della cecità e colpevolezze messe in atto dalle classi politiche che governarono il Paese: nel 1861 il divario tra Nord e Sud in termini di Prodotto Interno Lordo per abitante si aggirava attorno al 10% circa in favore del nord mentre oggi il PIL per abitante del sud non arriva al 55% di quello del nord, con forti ritardi per investimenti, valore della produzione, occupazione, consumi pubblici e privati e livello dei servizi sociali. Le politiche economiche e finanziarie messe in atto dai vari governi hanno indubbiamente favorito l’industrializzazione del nord e riservato al Sud interventi di sostegno (Cassa del Mezzogiorno) che non produssero tangibili risultati in termini di dilatazione della capacità produttiva, prova ne sia la dura critica fatta dallo stesso Salvemini contro tali politiche.

Milioni di meridionali cercarono dunque una prospettiva di vita all’estero o al centronord d’Italia. Sacrificati sull’altare delle indecenze politiche o delle insipienze programmatiche divennero innocenti vittime di una politica che aveva visto il sud solo come un serbatoio elettorale al tempo di Giolitti e, spiace dirlo, anche dopo al tempo della DC e dei suoi alleati.

Quella autentica distruzione o atomizzazione di millenarie culture provocò profonde emozioni e la cultura, quella autentica, quella vera ne fu profondamente turbata. Basti ricordare il film di Visconti “Rocco e i suoi fratelli”, o le centinaia di storie raccontate dalla letteratura ed anche, perché no?, quelle descritte nelle canzoni, sia pure se fortemente condizionate nella loro espressione e, non avrebbe potuto essere diversamente, dalle  posizioni politiche dell’autore. Sarà così che Bruno Lauzi, esponente, insieme a Tenco della scuola genovese, canterà: “Una donna di nome Maria / È arrivata stanotte dal Sud / È arrivata col treno del sole / Ma ha portato qualcosa di più”.  A Lauzi risponderà Sergio Endrigo, riportando la narrazione su una lettura più improntata alla esatta interpretazione del dramma sociale di quegli anni: “Il treno che viene dal sud / non porta soltanto Marie / con le labbra di corallo / e gli occhi grandi così / porta gente, gente nata tra gli ulivi / porta gente che va a scordare il sole / ma è caldo il pane / lassù nel nord”.

Ed al Nord il pane è stato caldo per circa un quarantennio, pur se condito con l’epiteto di terrone in aggiunta al lievito di cottura di un razzismo un tempo strisciante e poi apertamente manifesto. Certo, non mancarono progressi sul piano economico e sulla ricostruzione di una nazione distrutta dal fascismo ma il grave vulnus relativo al non democratico e pienamente libero funzionamento delle istituzioni e dell’apparato statale va indubbiamente attribuito alla rottura dell’unità nazionale del 1947 ed alla conseguente necessità che l’allora partito dominante, la Democrazia Cristiana, conservasse ininterrottamente il potere, escludendo i comunisti, sui quali pesava il non gradimento degli americani. Già dalla nascita della DC, quindi da De Gasperi, il sistema di potere, basato sul doroteismo, era insito nella struttura e nella filosofia di quel partito, così come sostenuto dallo stesso Giovanni Baget Bozzo, concezione che poneva il potere e il suo mantenimento innanzi ad ogni altro fine”, insomma un partito acchiappatutto, un partito che rappresentava, ad un tempo, la chiesa ed il ceto medio e che al Sud, nel periodo fanfaniano successivo al 1953, vide scalzare l’influenza dei vecchi notabili e condusse alla creazione di macchine politiche provinciali controllate da un boss, in genere professionisti della politica provenienti dalla piccola borghesia. Come ebbe a scrivere un giovane storico vicino alla DC, in relazione ai detentori del potere in ambito locale dei democristiani: “Il loro potere è enorme: consiglieri comunali, regionali e provinciali, funzionari vari, impiegati e bidelli, bancari e infermieri, laureati e diplomati devono a loro il posto, la carriera, lo stipendio, e offrono in cambio fedeltà e silenzio”.

Ma, come sempre succede da che mondo è mondo, tutti i giocattoli hanno vita relativamente breve e tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta l’Italia visse una profonda stagnazione economica, peraltro accentuata dalla crisi energetica del 1973. La politica economica democristiana si indirizzò allora verso uno sforzo di ammodernamento dell’apparato produttivo del Nord, tralasciando ogni investimento finalizzato all’efficientamento produttivo del Sud e destinando alcune risorse alle opere pubbliche ed agli interventi assistenziali a favore delle famiglie. È di tutta evidenza come un tale tipo di interventi, oltre ad acuire la piaga dell’emigrazione meridionale, pose il Mezzogiorno in una situazione di doppia dipendenza nei confronti dei trasferimenti pubblici e dell’economia del Nord.

Quei provvedimenti furono visti, da una parte dell’opinione pubblica del nord, connotata da antimeridionalismo e da anti centralismo, come autentico fumo negli occhi e furono, sia pure anni dopo, la miccia che favorì la nascita della Lega Nord che chiedeva l’indipendenza della padania. Ovviamente non mancarono, così come visto in precedenza riguardo i nostri emigrati all’estero, tutta una serie di contumelie e volgarità nei confronti dei meridionali e che manifestavano il loro tratto distintivo: l’avversione per il sud!

E non avrebbe potuto essere diversamente, pena la perdita di consensi al nord.

Ed allora questi esimi cultori della dialettica politica e del rispetto istituzionale continuano nei loro saggi dimostrativi dei quali, pur se provocanti nausea e disprezzo, si ritiene doverosa una sia pur scarna rappresentazione

  • Festa di Pontida. Matteo Salvini canta in coro “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”
  • In seguito, forse per confermare che se non è guidato spara cretinate, ha così precisato “Sono troppo distanti dalla nostra impostazione culturale, dallo stile di vita e dalla mentalità del Nord. Non abbiamo nessuna cosa in comune. Siamo lontani anni luce”
  • Un giovane padano al congresso dei giovani padani: “Ho letto sul Sole 24 Ore che, ancora una volta, verranno aiutati i giovani del Mezzogiorno. Ci siamo rotti i co….ni dei giovani del Mezzogiorno, che vadano a fa..ulo i giovani del Mezzogiorno! Al Sud non fanno un emerito c…o dalla mattina alla sera. Al di là di tutto, sono bellissimi paesaggi al Sud, il problema è la gente che ci abita. Sono così, loro ce l’hanno proprio dentro il culto di non fare un c…o dalla mattina alla sera, mentre noi siamo abituati a lavorare dalla mattina alla sera e ci tira un po’ il culo”

Abbiamo iniziato questa serie di brevi appunti con le frasi che sotto si riportano interamente e ci ponevamo sempre la stessa domanda.

Camillo Benso, conte di Cavour, che si vantava di aver viaggiato in lungo e in largo per l’Europa, non si era mai spinto più a sud di Firenze, e oltre l’Arno non andò mai. E al ritorno disse al suo segretario: «Meno male che abbiamo fatto l’Italia prima di conoscerla».  Bella conoscenza! Parlare d’Italia senza aver mai visto Roma ed il Sud!!!

Ed il suo luogotenente, tal Luigi Carlo Farini, che era anche medico condotto, quando nel 1860 fu inviato nelle province meridionali in qualità di luogotenente, non seppe nascondere il proprio stupore e il proprio aristocratico disprezzo: «Che Barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa. I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile!», offendendo, in una sola volta, due popoli: i meridionali ed i beduini.”

La risposta non può essere che una: No, non è cambiato niente!

di Pietro Lucidi

 

 

 

 

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