Salvatore Squillace: ucciso “per caso”

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani intende segnalare la data del 10/06 come giornata drammatica in cui, anche se in anni differenti, si fusero tragicamente insieme, in quanto accomunate dalla morte violenta, determinata dalla volontà della malavita organizzata, le sorti di Salvatore Squillace, Raffaella Lupoli e Hamdi Lala. Persone semplici, persone comuni; addirittura una bimba di 11 anni con tanti sogni: Raffaella. Le cosche non seguono in realtà alcun codice d’onore: bambini e innocenti passanti si ritrovano spesso nel novero dei “danni collaterali”; non ha importanza la sofferenza che si arreca, ma è fondamentale dominare il proprio territorio di riferimento

Un concetto semplice e crudelmente funzionale ai propri delittuosi scopi. Da qui, nel 1984, un giovane imbianchino di 28 anni venne freddato da un proiettile non destinato a lui, nel corso di una sparatoria tra cosche nemiche. Ucciso “per caso”: il clan legato al boss Nuvoletta, assassinato dai suoi rivali, cercava vendetta; in quel contesto gli assassini di Nuvoletta, che dovevano essere “puniti”, reagirono sparando nel centro di Napoli: uno di quegli spari troncò la vita di Salvatore Squillace.

Nel 1997, Raffaella abitava a Taranto, aveva undici anni e suo padre, Antonio Lupoli, insidiava la moglie di un boss detenuto. Un simile affronto non poteva essere tollerato: Lupoli doveva essere eliminato. Purtroppo, quella sera, l’uomo si trovava in macchina con la sua bambina; il sicario esplose comunque il colpo, indifferente alla presenza della minorenne e mancò il bersaglio: venne colpita la piccola Raffaella, che spirò. Raffaella aveva un sogno nel cassetto: diventare un giudice.

Nel 2000, Hamdi Lala era un lavoratore stagionale albanese in Italia nella raccolta del tabacco; venne ucciso ad Acerra (NA) perché si rifiutava di rinunciare al proprio posto di lavoro per cederlo a favore di uno dei tre fratelli Hoxa (Fidajet) che lo assassinarono proprio a causa di una simile, inaccettabile, disubbidienza. Il lavoro era tutto per Hamdi, benché fosse una professione umile, gli garantiva la sopravvivenza e il sogno di una vita migliore, dopo l’arrivo in Italia, come tanti immigrati clandestini, con la speranza di trovare giustizia, pace e benessere.

Il CNDDU ricorda Hamdi, Raffaella e Salvatore, perché tali eventi non debbano più ripetersi, perché si può e si deve immaginare una civiltà in cui ogni singolo componente possa vivere conservando i propri diritti di cittadino e rispettando le regole non perché costituisca un obbligo ma come esigenza/ espressione di un’aggregazione sociale più alta, quella cui speriamo di arrivare in un futuro non troppo lontano.

prof. Romano Pesavento

Presidente CNDDU

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