Il mondo dei moderni schiavi, lavoratori che vivono come ostaggi
Un nuovo rapporto dovuto alla collaborazione tra l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), quella per le Migrazioni (Oim) e Walk Free, organizzazione australiana impegnata nel contrasto all’asservimento di esseri umani, traccia in modo aggiornato le coordinate della serie di fenomeni di abuso e sfruttamento che definiscono il fenomeno. Il contenuto del Global estimates of modern slavery report, presentato il 12 settembre a Ginevra, è allarmante: dal 2016, ci sono dieci milioni di “nuovi schiavi” in più, per un totale di 49,6 milioni di «nuovi schiavi», il 54 per cento sono donne. Una umanità disperata che si suddivide in due grandi gruppi: quello costretto ai lavori forzati in un gran numero di attività disagiate, pericolose, degradanti, inclusa la prostituzione – 27,6 milioni –; e quello dei 22 milioni di donne costrette a matrimoni forzati.
Una moltitudine di uomini e donne che non hanno un orizzonte sicuro a cui guardare in quanto la nuova schiavitù è diffusa in quasi ogni Paese e colpisce soprattutto i soggetti più deboli e indifesi: gruppi minoritari o emarginati, donne, bambini. I minori sono almeno il 3,3 per cento dei lavoratori forzati, costretti per oltre la metà a sottostare allo sfruttamento sessuale. In un mondo in cui le diseguaglianze si acuiscono, a farne le spese sono spesso ancora oggi gli “ultimi” di ogni realtà.
Il rapporto evidenzia come il 52 per cento del lavoro forzato e un quarto di tutti i matrimoni forzati si ritrovino oggi in Paesi a reddito-medio alto e non a caso – precisa il documento –, i lavoratori migranti hanno una probabilità più che tripla di essere schiavizzati rispetto ai colleghi di cittadinanza locale. La ragione è evidente: privi di documenti, sono facilmente ricattabili, data la condizione di estrema necessità. Gli “schiavi moderni” sono, dunque, invisibili. E il fenomeno si fa sempre più trasnazionale.
Anche per questo il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, nel presentare il rapporto ha parlato della schiavitù moderna come di «una realtà sconvolgente» la cui persistenza non si può giustificare. Ha sottolineato: «sappiamo cosa bisogna fare e sappiamo che si può fare. Politiche e normative nazionali efficaci sono fondamentali, ma i governi non possono farlo da soli. Le norme internazionali forniscono una base solida ed è necessario un approccio che coinvolga tutti».
In altre parole una realtà globale va affrontata con strumenti globali e senza indugio perché l’urgenza è quella di garantire che tutte le migrazioni siano sicure, ordinate e regolari.
Solo una vera volontà politica è la chiave per porre fine a queste violazioni dei diritti umani.
Nelle raccomandazioni finali il rapporto insiste sull’applicazione delle norme per la sicurezza e la garanzia del lavoro e sull’impegno a mettere fine al lavoro forzato promosso dallo Stato dove questo persiste. Occorre rafforzare le tutele legali, in particolare delle donne, per cui è labile il confine tra lavoro forzato e matrimonio forzato. In questo senso, l’innalzamento universale dell’età legale per il matrimonio a 18 anni resta un impegno da perseguire con ferma determinazione.
E ancora una volta ci ritroviamo a parlare sempre di persone soggette a schiavitù, a rinunciare ai più basilari diritti umani e sociali, ad essere denigrate, sfruttate nel loro corpo e nella loro anima.
Sono gli ultimi a cui nessuna politica volge lo sguardo. Manca quella volontà normativa di cui si parlava, manca in una parola l’umanità e il rispetto per gli altri, quella capacità di immedesimarsi nell’altro e quella voglia di cambiare una realtà così aberrante.
Senza questi valori sarà difficile che la politica si impegni seriamente per modificare qualcosa che non è in grado di vedere.
di Stefania Lastoria