FRANZA O SPAGNA…

Quando l’Italia era soltanto un’entità geografica (come ebbe a dire il principe di Metternich, tanto per giustificare la sanguinosa repressione dei moti risorgimentali) si usava dire: “Franza o Spagna, purché se magna”. Data l’epoca, non si può condannare quel modo di pensare, dal momento che il popolo italiano era del tutto impotente rispetto alla forza dei dominatori, ammesso poi che fosse consapevole di essere un popolo.

Oggi, mutatis mutandis, quell’atteggiamento si potrebbe chiamare qualunquismo ed è causa di un dilagante astensionismo elettorale. A quanto pare, non sono pochi quelli che pensano che non importa poi tanto chi sia al governo, o quali siano gli alleati in campo internazionale. Ma se nei secoli passati era giustificabile, oggi l’indifferenza verso la cosa pubblica non può certo essere giustificata, ed è un errore grave pensare che chiunque vada al governo non cambi niente.

Un esempio eclatante ce lo ha dato recentemente il presidente americano Biden, che ha stanziato 360 miliardi di dollari per la lotta alla crisi climatica. Trump, invece, è tanto sensibile al problema ambientale da far battute del tipo: se il livello degli oceani salirà, vorrà dire che avremo più case con vista mare. E infatti a suo tempo si è ritirato dagli accordi di Parigi, perché “America first”. A parte la totale stolidità delle sue parole, ci sarà una differenza tra le due amministrazioni?

Ma anche da noi ci sono simpatizzanti di Trump: credete che siano più sensibili al riscaldamento globale o ai problemi economici della parte più miope e rapace del capitalismo, con la scusa che “prima gli italiani”?

Gli esempi possono essere tanti altri, come l’allegra gestione dell’economia da parte della coppia Berlusconi Tremonti, che ha fatto impennare il debito pubblico in piena crisi economica mondiale, dichiarando che bastava essere ottimisti e continuare a spendere per non soffrirne (lo hanno proprio detto esplicitamente, anche se sembra una gag da cabaret).

Voglio dire che, sebbene i partiti politici abbiano una certa tendenza comune alle poltrone e ai soldi, non sono per questo tutti uguali. Come dimostra l’esempio americano, che è particolarmente clamoroso, la scelta degli elettori può davvero fare la differenza, perché la politica di per sé stessa fa le differenze, soprattutto in epoche emergenziali e di fronte a problemi di portata storica come quelli che oggi ci incalzano.

Forse da noi le differenze sono meno appariscenti, ma non per questo meno importanti.

Fa differenza, ad esempio, decidere che le tasse non devono crescere col crescere della ricchezza. Ma vi sembra che il 15% dello stipendio di un impiegato sia la stessa cosa del 15% di chi possiede una catena di supermercati o incassa i famosi “extra ricavi” dei carburanti? “Flat tax” vuol dire questo, se no non è flat tax, e le chiacchiere per negarlo servono soltanto a ingannare gli elettori.

Fa differenza far pesare il fisco più sul lavoro e sull’impresa che non sul patrimonio. Le tasse “patrimoniali” hanno fatto una rivoluzione sociale nel Regno Unito nello scorso secolo, per un verso togliendo all’economia l’ingessatura del sistema aristocratico, per l’altro consentendo l’instaurazione della tutela sociale “from womb to tomb”, quando noi ancora non avevamo neppure l’INAM.

Fa differenza promuovere l’evasione fiscale con i condoni, anche se gli si cambia nome (pace fiscale, rottamazione delle cartelle eccetera eccetera) perché evidentemente se ne vergognano.

Fa differenza decidere la reintroduzione del vecchio modello di immunità parlamentare, come se in Italia non ci fosse il vizio consolidato delle mazzette e non esistessero mafia, ‘ndrangheta e camorra.

Fa differenza vietare i cartoni di Peppa Pig perché non conformi a una certa idea di famiglia, e perché la censura è meglio dei diritti civili.

Fa ancora differenza essere fascisti o antifascisti, anche se non se vuole molto parlare, dimenticando che il fascismo non ha solo la colpa della guerra e delle leggi razziali, ma anche di una lunga collana di stragi e attentati un bel po’ dopo l’ultima guerra, quando il fascismo aveva già indossato il doppio petto. E fa differenza anche declassare le leggi razziali (basate sull’idea che gli uomini si dividono in razze, alcune delle quali sono inferiori e non hanno neanche il diritto alla vita) a “leggi contro gli ebrei”, che è brutto ma non è la stessa cosa.

Fa differenza rivolere le centrali nucleari rifiutate dal “popolo sovrano” con due referendum, nonostante che in Francia non riescano a costruirne di nuove per motivi semplicemente economici e di sicurezza.

Ahimè, purtroppo fa anche differenza stringere alleanze politiche con dittatori che fanno uccidere giornaliste e oppositori (il numero è incerto, perché alcune morti sono state classificate come suicidio, un classico!) e fanno “operazioni militari speciali”. E che sono così sensibili ai problemi ambientali da dare un extra contributo al riscaldamento globale bruciando 4,34 milioni di metri cubi di metano al giorno (equivalenti alla produzione di 7,8 milioni di Kg di CO2 al giorno) solo per far dispetto all’Europa.

Ma fa altrettanta differenza essere al libro paga di principi arabi che fanno letteralmente fare a pezzi i giornalisti scomodi.

Non c’è davvero più alcuna giustificazione all’astensionismo, che oggi vuol dire schierarsi con la parte peggiore della politica. Sarà vero che nessuno dei nostri leader di partito è perfetto, ma è ben evidente che alcuni sono peggiori e portano avanti progetti peggiori.

Perciò abbiamo il sacrosanto dovere del voto, perché senza scelta non c’è cittadinanza, ma solo sudditanza; non c’è libertà ma schiavitù, anche se “se magna”.

di Cesare Pirozzi                                            

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