Strage di Dacca: la storia di Simona

Angelica Basile

Giugno ci ha salutato portandosi dietro una scia di sangue. L’attentato a Dacca, rivendicato dall’Isis, è costato la vita a 9 italiani. I nomi sono stati divulgati a poche ore dalla fine dell’assedio al caffè nel quale il commando aveva fatto irruzione intorno alle 21. Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Riboli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti non sono stati solo uccisi, ma anche torturati. Lo ha rivelato l’autopsia, hanno sofferto prima di morire, inermi, di fronte alla tanta follia omicida.

Simona Monti aveva 33 anni e un bambino in grembo. La gravidanza l’aveva cambiata, anche se era iniziata da pochissimi mesi. Quel pancino che credeva di giorno in giorno la rendeva impaziente ma la spaventava anche. Era un’anima errante Simona. Viaggiava da sempre e non le metteva paura vivere da sola in un Paese lontano e così diverso dal suo. Come tutti i viaggiatori, le radici erano croce e delicato per lei. Sempre in movimento, sempre con la valigia accanto al cuore. Così l’arrivo di un bambino, oltre ad essere un grande traguardo d’amore, le imponeva di fermarsi, stabilizzarsi e tornare in Italia. Aveva scelto la data: lunedì sarebbe atterrata a Fiumicino. Ma lunedì non è mai arrivato per lei, perché la sera di venerdì 1 luglio era semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. Uscita per una cena con i colleghi, non è più tornata.

A Roma ci è arrivata, ma a Ciampino e in una bara, che l’ha avvolta insieme al suo bambino, per sempre.

di Angelica Basile

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