La verità negata è una civiltà sepolta
Il 12 dicembre 1969, alle ore 16:37, deflagra una potente bomba all’interno della Banca dell’Agricoltura che causa 17 morti e 88 feriti. È la Strage di Piazza Fontana, dal toponimo di Milano su cui affaccia la Banca. Altre tre esplosioni concatenate a questa prima avvengono a Roma, mentre in altre città e nella stessa Milano, rimangono inattivi diversi altri ordigni difettosi. Conosciuta con il nome di Strage di Stato, non è che l’inizio della lunga stagione nera della Strategia della Tensione, che altri infiniti addusse lutti agli italici. Messa in opera da nuclei fascisti, congegnata da reparti dei servizi segreti italiani, è comandata dalla sponda imperiale dell’Atlantico. Per dirla con Dante: “Vuolsi così colà dove si puote/ ciò che si vuole, e più non dimandare”. Solo che quella sponda, per quanto democratica, non è certo il Paradiso. È la maggiore potenza del mondo, non ha esitato a sganciare bombe atomiche sul Giappone e – oltre la Seconda guerra mondiale – vuole vincere anche la guerra fredda, ossia non frontalmente combattuta, contro l’altro impero, quello sovietico. Ogni nefandezza compiuta a questo scopo è storicamente assolta, legittimata a priori dalla vittoria finale. E la vittoria c’è stata. La caduta del muro di Berlino e il successivo crollo dell’Unione Sovietica l’hanno definitivamente sancita.
Per quante domande, infatti, siano state rivolte, attraverso processi giudiziari, inchieste giornalistiche, saggi storico-politici su quella catena di stragi, non c’è mai stata nessuna risposta definitiva. La verità è stata gloriosamentetombificata. I vincitori non devono rispondere di niente, non si fanno processare, perché non avrai altra verità all’infuori della nostra potenza.
Lo abbiamo già ricordato su questa rubrica. Illa, ossia il/la Presidente del Consiglio ha rivendicato l’appartenenza di tutta la sua vicenda politica, in quanto arruolata alla schiatta dei vincitori atlantici della guerra fredda. Ossia anche lei assolta ab origine. Per questo non ha detto una sola parola sulla strage del 12 dicembre 1969, ore 16:37 a Milano. Massacro politicamente di destra nera, che ha segnato, sconvolto la storia italiana nella seconda metà del secolo scorso. L’ascesa di Illa all’alto soglio governativo è forse l’atto conclusivo di un lungo percorso cui quella stagione d’inferno stragista mirava ad arrivare. Soffocare l’ostinato orizzonte politico, sociale, rivendicativo di redditi e diritti contro il profitto capitalistico era la vera faccia di ciò che si celava dietro la maschera della lotta al comunismo. Si rivendicano, infatti, i pochi morti del proprio campo e non i tanti disseminati con quella e le successive carneficine in nome di quella mistificatoria lotta.
L’imposizione definitiva di un invalicabile regime liberista – senza più gli intralci, le aspirazioni tanto ideali, quanto materiali di quelle generazioni – significa il tramonto inesorabile di ciò che politicamente, culturalmente è chiamato “Sinistra”. Proprio quest’ultima, infatti, soprattutto nei livelli istituzionali, si è spostata da tempo dentro la circonferenza del lib, senza più neanche la connotazione lab, relativa al laburismo europeo. La unica connotazione che programmaticamente ancora la distingue è relativa ai diritti detti civili, ossia riguardanti la sfera personale, intima, o di genere. Una sfera perfettamente interna alle svariate tonalità, possibilità di progressismo e conservatorismo in cui può configurarsi un governo dentro il perimetro liberista.
Sinistra, però, sta a indicare la peculiarità più propria della civiltà occidentale. Connota la promessa all’ampliamento delle proprie condizioni di libertà dal giogo delle necessità, ossia di benessere materiale, sociale, culturale. Sono l’aspirazione, la spinta, le lotte per approssimare sempre più questo fine che non tanto segnano la storia, quanto direttamente fanno l’Occidente. Fanno forma e sostanza della democrazia, costringendola a mostrarsi sulla scena presente dell’esistenza, uscendo dalla carta meramente scritta, dalla retorica altisonante dei proclami.
Le rivelazioni – al momento in via di sviluppo – sull’euro scandalo detto Qatar Gate, sono solo l’epifenomeno di superficie di qualcosa che lentamente, ma inesorabilmente ha assunto forma nel sottosuolo. Lo svanire delle peculiarità proprie della sinistra in variabili compatibili con il liberismo. E tra i pilastri strutturali di queste compatibilità, c’è quello della corruzione. Inevitabilmente, dato che la declinazione del termine libertà, per il liberismo è proprio quella che attiene alla potenza di fatto del denaro, quale incomprimibile principio extra legem, ossia al di sopra di qualsiasi dio, legge e verità.
Non a caso l’abolizione stessa d’ogni fondamento di verità è il risultato estremo del pensiero filosofico e scientifico occidentale. Si danno, di volta in volta, solo verità transitorie, strumentali, che l’uomo autonomamente fabbrica, e subito dopo distrugge, in una catena senza fine, senza senso escatologico. E in tale processo della realtà non può che prevalere chi dispone di maggiore forza creativa-distruttiva. Un processo-precipizio, però. La sua risultante finale, infatti, è la distruzione progressiva delle condizioni di vita naturali, la messa a rischio della nostra stessa sopravvivenza sulla Terra. Ciò a seguito della vertiginosa necessità coattiva a demolir fabbricando, reificando la realtà di sempre più invasive configurazioni artificiali che ingoiano risorse, sconvolgono climi ed equilibri. L’attrazione allo strapiombo è accelerata proprio dalla rimozione degli ultimi grandi ostacoli verso di esso. Ciò che ebbe nome “sinistra” poteva rappresentare uno degli estremi ostacoli a mali tanto estremi. È allora un caso o un destino il suo declino all’orizzonte della coscienza civile?
Per la sua dipendenza e sottomissione alla potenza egemonica americana, l’Italia è stata definita paese a sovranità limitata. I suoi troppi casi di stragi, delitti, misteri politici irrisolti, però, la rendono soprattutto metafora della giustizia stessa come civiltà sepolta, e parimenti la verità come terra negata. Metafora, dunque, di un occaso, d’un tramonto che è già inciso nel nome d’Occidente. E da quale inedita aurora può sorgere la visione di una più ampia terra di giustizia per l’essere in ogni suo aspetto? Nella sua attesa – come la celebre sentinella di Eschilo – inquieti dormiamo la nostra veglia.
Riccardo Tavani