Una rosa blu per Jennifer

Un fantastico Daniele Russo nell’interpretazione di Jennifer (gli è valso il premio della Maschera del Teatro italiano come miglior attore) nel dramma “Le cinque rose di Jennifer”, di Annibale Ruccello, drammaturgo di Castellammare di Stabia, morto precocemente nel 1986 a soli trent’anni e considerato una delle voci più significative e originali del teatro italiano della seconda metà del secolo scorso.

Con l’eccellente regia di Gabriele Russo, lo spettatore viene portato all’interno del monolocale” un po’ kitsch, dove Jennifer, un femminiello, vive da solo, con un’ombra (il bravo Sergio Del Prete) che rassetta la stanza, disordinatissima, e che a volte ne ripete le movenze, come se fosse il suo doppio. Una solitudine spezzata solo dalle telefonate vere efalse, e dalla radio che trasmette per lo più canzoni di Mina, di Patty Pravo e Ornella Vanoni,che raccontano le speranze e le delusioni di donne innamorate, come lei, perché Jennifer è un uomo che si sente donna, prepotentemente donna, una donna che ama “il suo Franco”, del quale aspetta una telefonata da tre mesi.

Jennifer vive in un quartiere nuovo, un quartiere abitato prevalentemente da “donne “come lui, donne di cui conosce a memoria il numero di telefono, perché per delle “interferenzie” dovute alle nuove linee, le telefonate degli innamorati a queste signorine finiscono sul suo numero. Lei,nell’attesa della telefonata di Franco, ci conversa a volte amabilmente, a volte no. Intanto alla radio il notiziario comunica, tra una canzone e l’altra, che sono stati ammazzati cinque travestiti e che il numero delle vittime cresce di ora in ora, generando così nuova ansia. Stanno cercando il killer, probabilmente un maniaco che ammazza le signorine con la loro stessa pistola.

Nell’ attesa spasmodica della telefonata giusta,Jennifer blatera, impreca e si esibisce al telefono in un vorticoso repertorio di male parole molto colorite, che non aspettano altro che di essere tirate fuori. È doveroso ricordare che a Napoliquesto repertorio è folklore, perché il femminiello(in particolare nel cuore storico) fa parte del tessuto sociale di questa città. Il femminiello a Napoli non è semplicemente un travestito e basta:a Napoli è un portafortuna, è un punto di riferimento per varie manifestazioni, anche religiose, e viene rispettato.

In quest’ attesa Jennifer però, soprattutto siconsuma, soffre, si dispera in un crescendo continuo, esasperando sé stessa e lo spettatore che condivide il suo dolore. (Geniali le sortite verso il pubblico di Jennifer in una sorta di sospensioni mimiche) Entra in scena a questo punto un altro travestito, Anna, inquietante, interpretata dall’ombra che girava per la stanza,che Jennifer a tratti canzona e la non considera alla sua altezza, perché poco femminile e decisamente meno sboccata. Una presenza che successivamente si fa ancora più tetra quandoAnna irrompe di nuovo nella stanza con un coltello quando scopre che gli hanno ammazzato la gatta, la sua ragione di vita, squartandola e decapitandola. Un blackout esaspera ancora di più la disperazione di Jennifer, si impossessa di lei: è delirio, è follia, è autodistruzione, è un colpo di pistola che si sente nel buio totale dellasala, la sua pistola, che Jennifer aveva impugnato, tirandola fuori dalla borsetta, un colpo di pistola che uccide tutte le Jennifer del quartiere, tutte le Jennifer del mondo.

Un colpo di pistola salvifico, perché lo spettatore come il protagonista, smette di soffrire, liberandosi dalla complicità di vivere la dannazione della solitudine e della diversità, in un contesto, quello degli anni Settanta, molto, ma molto diverso.

Al momento degli applausi, meritatissimi, ai protagonisti e ad una regia superlativa di Gabriele Russo, il bravissimo Daniele Russo era spossato, come se avesse corso una gara di fondo con ostacoli. Tanta la fatica ma tantissima la soddisfazione a vincere ed entrare nel cuore del pubblico.  

Paolo Sabatino

 

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