La guerra infinita

La Palestina di nuovo in fiamme. Morti a migliaia, distruzione, stragi, deportazioni di massa, ennesima recrudescenza di un conflitto che ha radici lontane. Trae origine dalla decolonizzazione successiva al secondo conflitto mondiale, dal senso di colpa del mondo occidentale conseguente alla Shoah e dalla esigenza del popolo Ebraico di avere una patria, un paese dove non essere discriminati, uno Stato che ne difendesse i legittimi diritti, un territorio nel quale vivere.

Il movimento sionista individuò questo territorio in Palestina dove una piccola popolazione di fede ebraica continuava a vivere, erano 25.000 a fine XIX secolo. Durante il periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale, la popolazione ebraica in Palestina crebbe per effetto di immigrazioni favorite dal movimento sionistainternazionale. La convivenza tra due culture che occupavano lo stesso territorio divenne sempre piùdifficile e degenerava spesso in scontri armati

Quando nel 1947 la comunità internazionale, con la risoluzione ONU n 181, decise la divisione della Palestina in due stati uno ebraico ed uno arabo, ma dovremmo dire palestinese di religione islamica, aveva come obiettivo la cessazione di tali scontri, diventati sempre più frequenti tra le due guerre mondiali.

Alla partenza delle forze di occupazione britanniche, che con la loro presenza avevano mantenuto basso il livello del conflitto, gli ebrei palestinesi, perché tali erano: palestinesi di religione ebraica, proclamarono la nascita dello stato di Israele.

Quella che fino a quel momento era stata una guerra civile palestinese, tra la componente ebraica e quella mussulmana, divenne conflitto di tutti i paesi islamici limitrofi, contrari alla costituzione di uno stato ebraico e che avevano votato contro la risoluzione ONU n 181, e il nascente Israele; era iniziato il conflitto arabo-israeliano.

Questo conflitto iniziato con la guerra del 1948/49, guerra di indipendenza per gli israeliani, catastrofe per i paesi islamici, passando per la guerra di Suez del 1956, la guerra dei sei giorni del 1967 e la guerra del Kippur del 1973, si risolse, tra il 1979 e il 1994 con accordi separati. Possiamo dire che terminò il conflitto arabo-israeliano ma rimase aperta la questione dello stato palestinese i cui territori erano stati nel frattempo occupati dall’esercito israeliano con la guerra dei sei giorni.

Da allora i palestinesi di religione islamica vivono sotto una occupazione militare. Sono oramai oltre 50 anni che un intero popolo vive prigioniero nel proprio paese, ha subito i massacri Sabra e Shatila, oltre 3000 morti tra 16e il 18 settembre 1982, operati da milizie cristiano-libanesi con la complicità dell’esercito israeliano, l’eccidio del settembre nero da parte dei giordani nel 1970, le repressioni successive alla prima e seconda intifada.

Gli israeliani, nel frattempo, continuano la politica degli insediamenti e relativa acquisizione di territorio e afavorire l’esodo degli esasperati. Soltanto il 50% circa dei palestinesi vive in Cisgiordania e striscia di Gaza oggi.

Tutto ciò ha fatto si che si consolidasse un sentimento nazionale palestinese, un senso di appartenenza che ha anch’esso radici lontane se con questo termine, già nel Xsecolo, si definiva un abitante di quella zona.

Reclamano il loro legittimo diritto di avere un proprio stato in cui liberamente vivere, stato che l’ONU nel 2012 riconosce come Stato di Palestina.

Nonostante il riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina e del suo legittimo diritto di esistere, i territori ad esso appartenenti, Cisgiordania e striscia di Gaza, sono occupati militarmente dagli israeliani, e i suoi abitanti costretti a vivere in un enorme campo di concentramento, chiuso da muri e circondato da una barriera militare.

Non sono accettabili azioni come quella compiuta dai terroristi di Hamas e sono da condannare, ma non sono concettualmente e  metodologicamente diverse da quelle messe in campo a suo tempo dalle organizzazioni militari ebraiche come l’Haganah ed il Palmach, e paramilitari/terroristiche, quali la “Banda Stern” e l’Irgun, successivamente integrate nelle Forze di difesa israeliane. Ricordo a titolo di esempio l’attentato dell’hotel King David di Gerusalemme, luglio 1946, e il massacro Deir Yassin, aprile 1948, un villaggio arabo-palestinese.

Non è accettabile la violenza della ritorsione israeliana, la cui aviazione sta bombardando la striscia di Gaza, una delle zone con la più alta densità abitativa del mondo, 5900 abitanti per km2, la città oltre 13000, con violenzatale da far pensare a Coventry e Dresda rase al suolo, completamente distrutte dai nazisti e dagli alleati rispettivamente.

Non è accettabile l’espulsione di 2 milioni di palestinesi dalla propria terra, spinti via manu militar. Israele sta mettendo in mostra tutta la sua capacità di mobilitazione, 300.000 riservisti si sono presentati in assetto di guerra in 24 ore, e la sua potenza militare e superiorità tecnologica, spalleggiata apertamente dagli USA che in brevissimo tempo hanno dislocato due portaerei e relative navi appoggio a sostegno di un esercito che già la fa da padrone nella regione.

Lo stato israeliano ha il diritto di esistere e di difendersi quando occorre; è giusto anche il diritto di reclamare l’indipendenza da parte del popolo palestinese e di difendersi, come può.

Quando un intero popolo è costretto a vivere alla macchia, schiacciato dagli scarponi chiodati di un esercito di occupazione, è inevitabile che si producano gruppi combattenti che usano metodi terroristici, inumani, non accettabili e tantomeno condivisibili.

Non è accettabile che Israele anteponga, per mezzo del suo strapotere militare, il diritto della forza alla forza del diritto legittimo dei palestinesi di vedere riconosciuto e realizzato il proprio Stato.

Quanto esposto non vuole ne potrebbe essere una giustificazione di atti barbarici, che tutte le parti in causa stanno commettendo, ma un tentativo di mettere a fuoco le ragioni di quanto sta avvenendo in Palestina.

I paesi che hanno votato il riconoscimento dello Stato di Palestina, 29 novembre 2012 risoluzione ONU 67/19, dovrebbero imporre con tutti i mezzi a disposizione, escluse le armi, il rispetto delle loro stesse decisioni.

Solo mettendo fine all’occupazione militare israeliana e consentendo ai palestinesi di poter liberamente vivere in un loro stato sovrano si può sperare di mettere fine ad una spirale di violenza che dura dall’inizio del XX secolo.

Corrado Venti

 

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