Arrivi e partenze

Il treno, arriva o parte, avvolto nella nebbia del mistero e dello sbuffo del vapore, chiude la scena, con un impatto visivo ed emotivo intenso, lasciando il pubblico sbalordito che esclama un “ooohh” di meraviglia. Inevitabili stazioni sfamano l’uomo stanco. Stanco della banalità della sua vita borghese. La stazione, terreno d’arrivo e partenze denso di vapori che confondono gli animi ignari sulla evoluzione del proprio sentire. Tutto accade nell’attimo in cui si riavvolge il tempo scandito dal transito fisico e metafico di un locomotore sotto cui si getta una donna. Nello stesso attimo si incrociano gli sguardi e i destini dei protagonisti: Anna Karenina e Vronsky.

L’inizio è anche il finale, con Anna che si getta sotto il treno che avanza, lentamente ma inesorabilmente sul palcoscenico della quotidianità.

Al teatro Quirino di Roma, con la regia di Luca De Fusco, va in scena Anna Karenina, tratto dal romanzo di Lev Tolstoj, interpretata da una Galatea Ranzi che ne esprime l’essenza in tutta la sua intensità. Due ore e trenta di recitazione sulla banchina di una stazione, scenograficamente notevole, così i costumi d’epoca del periodo dello zar. Un mosaico ad incastro perfetto, la recitazione stratificata su piani diversi, resa affascinante dall’uso sapiente delle luci in grado di costruire quadri, un gioco di chiaro scuri caravaggeschi, alimentano la suggestione sugli eventi. Otto attrici e attori sul palco in grado di occupare gli spazi senza sbavature o fronzoli, un meccanismo oliato che funziona grazie ad una regia attenta e meticolosa nell’adattamento dei dialoghi.

Anna Karenina è la metafora sulla difficoltà umana di essere trasparenti con se stessi e con gli altri, in una società borghese che accetta il falso perbenismo, comeforma morale ed etica di vita. Anna, sposata co un figlio, si innamora e si abbandona all’amore, pagando un prezzo altissimo con la sua vita. La gioia brillante del suo volto si brucia nella notte dei desideri consumati con un profondo conflitto psicologico. Un copro generoso, leggero, fiero, con le spalle vestite di baci comprati con la propria vergogna. Tanto da dire “la vergogna è una cosa meravigliosa”. Gli oltraggi, le umiliazioni, le maldicenze, della banalità la colpiscono nel suo profondo, ma la sua forza d’animo la sorregge per scardinare ogni forma di schiavitù a cui sono sottomessele donne.

Gli spettatori assistono stupiti, dalle scenografie, dalle luci e dai costumi, la sala gremita, attenta ai dialoghi serrati, animati, sofferti, romantici e inusuali, ma compiaciuti dall’uso delle parole lasciate scivolare come un soffio sulla platea. Un processo continuo di creazione di azione, immediato e preciso, nella sensibilità scenica riflessa, interiore ed esteriore.

Anna Karenina è una rivoluzione, non dei costumi, che veste con eleganza straordinaria, ma della dignità umanasvuotata dalla doppiezza diffusa. È simbolo per l’uomo che lotta nell’orizzonte dei sentimenti incapace di viverli fino in fondo. Anna è la forza dell’amore vissuto contro un mondo che vorrebbe rilegarla nel ruolo di moglie, togliendole la sensualità e l’istinto emotivo, elemento irrazionale con il quale ribaltare la concezione borghese di una vita senza emozioni. Una forza prorompente, quasi come la forza motrice del treno che sul finale irrompe sul palcoscenico, per dire non rinnego ciò che sono e rivendico ciò che voglio essere. La morale e l’etica usata come catena diviene la catena da cui liberarsi per poter alzare la testa con lo sguardo e la dignità di una donna/madre in grado di sacrificarsi per essere e rimanere donna che scegli l’amore come forma di vita.

Anna Karenina, la rivoluzione contro la banalità della coppia, del matrimonio, dell’essere considera solo moglie o adultera, ma donna, da senso alle immagini della mente, intorno ai suoi eventi: la ricerca dell’assoluto. Perdersi nell’altro, nell’amato, senza più ritrovarsi. Smarrire l’amore iniziale nel significato stesso dell’amore.

“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Questo in sostanza, grazie alla compagnia teatrale diretta da Luca De Fusco, vuol dire cogliere l’ essenzialità dell’arte.

Claudio Caldarelli