La Singla
Per fortuna esiste il cinema. Per fortuna esistono distribuzioni come ExitMedia, e il Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, che fanno riemergere vicende e persone sepolte sotto le umane macerie storiche, ma che conservano un importante valore di attualità per il presente e il futuro. Film stupendamente singolare, in questo senso, è il documentario di Paloma Zapata La Singla. Nata nel 1948 dentro una baracca del barrio degradato di Sommorostro sulla spiaggia di Barcellona, Antoñita La Singla è colpita da ragazzina da una meningite che la rende presto sorda. Come ha potuto allora diventare una stella internazionale della danza gitana e del flamenco a soli sedici anni? Una Beethoven del ballo, diventata però sorda non da vecchia, ad arte già magistralmente appresa, ma prima ancora di eccellere nella sua, la danza. Grandi artisti e musicisti la scoprono e rimangono folgorati dal furore ritmico scandito dai suoi tacchi e dal fremente gesto di tutto il suo corpo. “Sputava fuoco dalla bocca e lo spegneva con i piedi” testimonia Jacques Cousteau. Salvador Dalì e la moglie Gala la prendono sotto la loro protezione e pagano le cure per i suoi deficit uditivi e fonici. Tutti i maggiori chitarristi spagnoli fino a Paco De Lucia vogliono accompagnarla, scrivendo anche musica per lei. È la Singla, però, che comincia a battere il tempo, loro la osservano e intonano gli strumenti al suo passo. Si esibisce ed è acclamata persino in Germania, dove c’era e c’è ancora una vasta comunità di appassionati di cante y baile flamenco. La definiscono la più brava del mondo.
A 29 anni, però, all’improvviso la Singla sparisce senza lasciare alcuna traccia. Presto di lei non parlerà più nessuno, la sua figura è avvolta da una vera e propria damnatio memoriae. Fin dall’inizio del film l’autrice introduce Helena Kaittani, una giovane ballerina di flamenco, con una scena che la vede a lezione da una maestra che è stata anche lei sordomuta e le insegna a ballare con la lingua delle mani per esprimere le parole del canto. Helena è l’alter ego dalla stessa regista, perché tenta di risolvere il mistero della scomparsa di Antonia La Singla, ricercandone le tracce proprio in quel barrio di baracche che ormai da molti anni non c’è più.
Ci sono però tantissime foto, filmati, con la stessa Singla ragazzina che balla su assi di legno tra la polvere, insieme a sua madre, accompagnata da musicisti seduti su sedie sgangherate ma chitarre perfettamente ritmate. L’apparato di documenti d’archivio d’ogni genere è davvero impressionante, sia per quantità, sia per qualità. A farci sensibilmente sentire sulla pelle il carattere, la personalità, la vulcanicità dell’arte della Singla sono queste immagini che accompagnano passo passo tutto il suo percorso fino all’improvvisa, enigmatica scomparsa. Un’immensa catasta di materiale documentale, preziosamente conservato e ordinato dal suo manager di allora Paco Banegas, che mantiene intatto il fascino e la forza di questa storia.
C’è anche un vecchio film del 1963, Los Tarantos, diretto da Francisco Rovira Beleta, con Antoñita danza insieme ad Antonio Gades e alla regina del flamenco Carmen Amaya. Si tratta di una versione gitana di Romeo e Giulietta, e testimonia di come a soli 15 anni Amaya, nata anche lei nella stessa baraccopoli, considerasse già quella ragazza la sua erede. Helena-alias-Paloma vuole ritrovare le orme di quei prodigiosi passi gitani, per restituire loro la memoria, la giustizia che meritano. E proprio perché ricerca pressoché impossibile intriga subito lo spettatore, indipendentemente dalla sorte negativa o positiva che avrà, e di cui non spoileriamo. Perché è innanzitutto la ricerca stessa, in quanto tale, giusta. La storia della Singla, infatti, ha una suo intatto, prezioso valore proprio per il nostro presente. Ci dice quanto l’arte stessa sia una via maestra alla giustizia. Una bambina colpita dall’ingiustizia di un male che l’avrebbe resa disabile a vita, rimette piano piano nei suoi piedi, gambe, mani, braccia le misure giuste, i battiti ritmici esatti, gli scuotimenti perfettamente sincronizzati con la potenza furiosamente aggraziata di ogni suo movimento e volteggio.
Grazie al cinema perché esso ci restituisce non solo uno splendido reperto del passato, ma la luce di un’inedita stella smarrita nel cielo scuro dell’oblio.
Riccardo Tavani