La povertà non è colpa dei poveri

Se la povertà è colpa dei poveri, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa per loro. Enrico Mauro, docente presso l’università del Salento, riflette sulla meritocrazia, prendendo spunro dal discorso di papa Francesco lo scorso maggio all’Ilva di Genova. Il papa, parlando del disvalore della meritocrazia, ci fa riflettere sul fatto che la meritocrazia non è sinonimo di merito, come partitocrazia non è sinonimo di partito, che la meritocrazia snatura e perverte il merito. Che la meritocrazia sta diventando, dice papa Francesco, “una legittimazione etica della diseguaglianza”. Enrico Mauro sottolinea che il discorso del pontefice meriterebbe di essere letto per intero, imparato a memoria, affisso nei luoghi di lavoro e letto nelle scuole, perchè svela del.e verità fino ad ora non considerate specialmente quando dice che “ una conseguenza della cosiddetta meritocrazia è il cambiamento della cultura della povertà. Il povero è considerato un demeritevole e, quindi, um colpevole. E se la lovertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa”. Questa è una delle conseguenze più funeste della “teoria della meritocrazia” così riflette il professor Mauro, aggiungendo che collro che molti credono di aver successo solo perchè se lo merita, è non anche o principalme teper fattori casuali, per fortuna naturale e sociale, genetica e familiare, biologica e storica. Perchè per caso è nato in un certo paese, in una certa zona di quel paese, da genitori con una certa cultura e certi titoli di studio, con certe doti naturali, costui non sente il bisogno di fare qualcosa per aiutare altri, per migliorare l’ambiente economico-sociale in maniera che anche altri possano avere, se non successo, perlomeno condizioni di vita e di lavoro dignitose e soddisfacenti.

Rovesciando il discorso, dice ancora Mauro, solo chi riconosce che il suo successo è dovuto anche o principalmente alla fortuna, naturale e sociale, è disposto a investire tempo, energie e risorse per migliorare a bemeficio altrui ciò che ci circonda. Se credo che il mio successo dipende solo da me, non sentirò il bisogno di condividerlo con nessuno. Se invece sono consapecole che ho, senza merito alcuno, beneficiato di condizioni che mi hanno permesso di fare qualcosa, che ho acuto più opportunità, probabilmente sentirò di dovermi sdebitare, di dover “condividere una parte della mia ricchezza”. Troppo spesso è più facile far credere che il povero sia tale perchè pigro, incompetente, senza voglia di fare, e che la società sia un luogo in cui chi nasce fortunato ha diritto di godere della fortuna fino in fondo, a beneficio anche dei suoi discendenti, e chi nasce sfortunato ha solo diritto di sperare che la vita dopo la morte sia meno infiusta. Ma conclude il professor Enrico Mauro, magari molti “ultimi” cioè i poveri, si consolano al pensiero che saranno i primi dopo la morte, ma molti altri “ultimi” cioè i poveri non disdegnerebbero di essere meno ultimi già prima della morte.

di Claudio Caldarelli

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