Sgombero di S.Ferdinando: un atto promesso
Il più facile ripristino della legalità, verso gli ultimi
Ai primi di marzo, a distanza di un paio di settimane dal rogo che uccise nel sonno il ventinovenne senegalese Moussa Ba, come da piano già messo a punto dal Viminale, circa 900 migranti (ma c’è chi dice che siano stati molti di più, fino a 1600) sono stati sfrattati dalla pericolosa baraccopoli, di San Ferdinando (Rc). Come da immancabile tweet del Ministro dell’Interno, “Dalle parole ai fatti”, è stata ricordata la puntuale tenacia nel perseguire ogni forma di illegalità, verso i più disgraziati. Per questo sgombero non si può dire che non avessero previsto una qualche forma di ricollocazione, ma c’è da chiedersi se abbiano usato la stessa logica del passato, quando a fronte di 133 collocazioni per gli immigrati regolari in progetti Sprar (oltre che nelle strutture approntate dalla Caritas), si è avuta l’adesione di sole 8 persone. Dopo il rogo di febbraio, che distrusse anche diverse baracche, erano stati previsti i primi 40 ricollocamenti di migranti regolari (gli unici disperati degni di considerazione), in attesa di una ulteriore ridefinizione delle misure per il resto di quel popolo, lasciando molte incognite per quelle persone sprovviste dei regolari documenti. Probabilmente, quanto proposto non corrispondeva alle loro necessità, oppure non dava abbastanza garanzie sul futuro e per la maggioranza non rappresentava una valida soluzione. Ma sembra che nessuno, allora, si sia chiesto il perché di una rinuncia a soluzioni apparentemente migliori di una vita (precaria) in baracche, in qualche centro Cara o in qualche Cas della Calabria.
Ecco che la mattina del 6 marzo, il rumore delle ruspe in azione, quello delle camionette e delle ambulanze, a supporto delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa, hanno sovrastato le sommesse proteste degli immigrati. Mentre le baracche venivano giù, sotto i colpi delle pale d’acciaio ed il personale del servizio immigrazione controllava i documenti degli sgombrati, è parso subito chiaro che i controlli procedevano con eccessiva lentezza, anche perché le stime fatte nei giorni precedenti son sembrate errate. Questo ha portato alla realizzazione di una tendopoli, dall’altro lato della strada, per poter dare un temporaneo riparo a chi aveva perduto quel ricovero, troppo a lungo chiamato “casa”. Nonostante fosse prevedibile il contrario, non ci sono stati episodi di tensione, forse anche perché il dispiegamento di mezzi impiegato, può aver dissuaso ogni forma di protesta. E poi, oltre al fatto che in parte sono stati alloggiati in tende, che una grossa parte sono stati smistati con i 18 pullman predisposti allo scopo, come succede spesso, una parte si è allontanata precedentemente e si è dispersa nelle campagne, in attesa che passasse la bufera.
Tutto sembra essersi svolto in modo ottimale e lo sceriffo del Viminale può incidere un’altra tacca sul fucile della propaganda, anche se la eco dell’episodio è stata piuttosto contenuta, proprio per la mancanza di rivolte, che avrebbe ancor più additato al migrante come ad un violento ingrato. Ma più ancora della piccola tendopoli, sorta accanto alle macerie delle baracche, forse alcune domande sollevate dal paradosso di questo sgombero, andrebbero poste al Sig. Ministro. La più maligna, potrebbe essere se il momento dello sgombero non sia sapientemente coinciso con la fine di una stagione agricola (chessò, la raccolta delle arance), che spesso porta ad un’ulteriore migrazione in altre aree del paese (tipo quelle in cui si raccolgono i pomodori), per non penalizzare troppo i proprietari terrieri e rendendo tutto più facile, anche se il periodo di peggior freddo, gli immigrati lo abbiano passato nelle baracche. Una questione interessante, è se una certa economia agricola italiana non dipenda troppo da questo bistrattato popolo di senza-diritti, di nuovi servi della gleba, per tenere bassi (e competitivi) i prezzi di produzione e se questi sgomberi, oltre che al portafoglio elettorale, non fungano quale deterrente ad ogni forma di futura rivendicazione. Invece la domanda più impellente che andrebbe posta a Salvini, è: “Quando assisteremo alla stessa veemenza, alla stessa determinazione, nei confronti delle potentissime mafie?”. Troppo facile ripristinare la legalità solo con i poveracci, con coloro che non smuovono voti e che non hanno né potenza militare, né potere economico.
di Mario Guido Faloci