Il Dante del male sul bordo abissale del Nulla

Il danese Lars von Trier, in sigla LVT, è forse il più controverso tra i registi, autori, pensatori contemporanei. Dedito a un maledettismo vertiginoso, ogni suo nuovo film segna un nuovo giro di vite nella sua visione dell’umanità come espressione del male senza possibilità di redenzione. Resta solo l’attesa della sua totale estinzione, estirpazione, cancellazione dalla storia universale. O dell’inferno a girone unico: il gorgo senza fondo del Nulla.

Jack – interpretato da Matt Dillon – è un ingegnere, ossia un tecnico, ma con aspirazioni da architetto, ossia artistiche. Quasi una dichiarazione d’identità dello stesso regista. “Un architetto scrive la musica, e l’ingegnere la legge”, afferma Jack, conferendosi il nome Mr. Sophistication quale suo alter ego. LVT stratifica questo film di tutta la sapienza tecnico-artistica accumula nei lunghi anni della sua carriera cinematografica, disseminata di prestigiosi premi e riconoscimenti, dal gruppo di Dogma 95, alla attuale Zentropa Enterprizes. Una stratificazione tecnico-formale, che costituisce la qualità del film anche nel suo contenuto narrativo.

Jack è però pure un serial killer. Non è detto che non lo sia anche LVT, simbolicamente, nella implacabile progressione dei suoi film. Sullo sfondo di un’America agricola degli anni ’70, Jack e il regista ci raccontano cinque incidenti, cinque episodi del loro sgozzare donne, bambini, neri, asiatici e sfigati sociali, connotati dall’essere in primo luogo dei deboli. E anche con poco cervello. Jack, infatti, ha una intelligenza elevata e veloce come la luce: è la sconvolgente superiorità genetica del male sul bene. Una superiorità malefica che è assistita anche dal caso o provvidenza, non sappiamo però se divina o demoniaca. Fatto sta che Jack ha sempre dalla sua anche l’assistenza delle circostanze. Perché le sue non sono semplici sgozzamenti e fucilazioni, ma atti di crudeltà gratuita allo stato puro e assoluto. Il male autentico non ha bisogno di giustificazioni: anzi esso giustifica tutto. Per LVT ci dice che giustifica anche tutta l’arte contemporanea. E lo fa intrecciando dialoghi e mostrandoci immagini, tratte anche da suoi precedenti film, che corroborano questa incontrovertibile verità.

Il titolo originale del film, The House That Jack Built, La Casa che Jack ha costruito, è il primo verso di un’antica, interminabile e crudele filastrocca inglese, che si snoda nella tipica versificazione ricorsiva come nella Fiera dell’Est,di Angelo Branduardi. Tale è l’efferatezza di Jack: infantilmente disarmante e procedente per accumulo, accatastamento ricorsivo di delitti e cadaveri. Tutta la narrazione dei cinque incidenti, o episodi è percorsa dalla voce fuori campo di Jack che si rivolge a un suo interlocutore che non appare mai, Verge. Verge cerca di smontare le alte pretese filosofiche di Jack sulla sua propensione criminale, riducendole a una più prosaica volgarità e anche vigliaccheria di carattere e comportamenti. Gli oppone una sponda di razionalità ironica, un controcanto che non vuole imporsi ma dare anzi corda, spazio al delirio di Jack.

Verge sta qui per Virgilio, ma in inglese significa orlo, bordo, limite. Alla fine dei cinque episodi e della macabra casa costruita da Jack, Virgilio appare, nelle fattezze dell’attore Bruno Ganz, nell’ultima grande interpretazione prima della sua recente scomparsa. Quasi catturato e a un passo dall’essere ammazzato a pistolettate dalla polizia, Jack s’inabissa con Virgilio nel sottosuolo della casa di ghiaccio e cadaveri che ha edificato. LVT ricompone in un’immagine cinematografica di potente impatto cinematografico-pittorico il quadro di Eugène DelacroixLa barca di Dante per far attraversare ai due la palude Stigia, per un’andata senza ritorno all’Inferno.

Dalla comparsa in scena di Bruno Ganz-Virgilio è come si staccasse un altro film dal primo sulle orrifiche imprese dell’ingegnere-architetto. Dalla superficie del mondo scendiamo infatti nel sotterra ctonio, rombante di eco e acque buie, sprofondante fino all’estremo bordo del Nulla. E lì Jack si trova davanti all’autentico Hic Rhodus, hic salta, Qui Rodi, qui salta. È l’aut aut, l’opposizione irriducibile di tutta l’esistenza umana, inesorabilmente improntata al male. Il salto tra l’Essere e il Nulla, tra due dimensioni del pensiero e dell’azione che non hanno, non possono avere alcun passaggio di continuità l’uno con l’altro. La scelta è tra la ragione rappresentata dal bordo invalicabile del logos, della parola di Virgilio e la follia di Jack, il Dante del male, rappresentante di tutta l’umanità.

Ci si è domandato se la reiterazione di questa buia visione antropologica non finisca per annullare lo stesso atto d’arte. Se in ogni film si dice sempre la stessa cosa, l’opera stessa è sottomessa a tale messaggio, non ha più una sua autonomia artistica. Forse sfugge proprio questa presenza magnetica di Verge, discreta eppure elevata, che delinea, offre il suo bordo ma non lo impone. Dà modo alla scena della follia umana di scorrere giù, lungo tutta la spirale dell’abisso vorticante e disperante del Nulla. È da questa negatività assoluta che emerge per contrasto il bisogno della positività docile ma non arrendevole di Virgilio.

di Riccardo Tavani